7 aprile nella piazza deserta Il vescovo: «Sapremo reagire»

Mercoledì 8 Aprile 2020
LA COMMEMORAZIONE
TREVISO Il silenzio è una voragine. Rende la paura e l'angoscia presente, viva. Ed è in un vuoto di sole che i rintocchi dalla torre civica assumono un senso nuovo. E' un 7 aprile, nel bene e nel male, indimenticabile. Quello in cui la città è stata più vicina al clima di privazione e di paura generato dalle bombe del 44. Il sindaco assiste, solo, al rintocco delle campane nella piazza deserta. Solo un'ombra dalle finestre. È il Prefetto Maria Rosaria Laganà che segue la commemorazione, pronta a inviare un pensiero a tutti i trevigiani. Poi è ancora il vescovo Michele Tomasi, anche lui solo in Duomo, a benedire la città di fronte alle telecamere. E infine, sotto le volute di San Francesco, va in onda un'altra solitudine. Quella del tenore Francesco Grollo che, insieme ad Antonio Camponogara, dedica tre brani alla città ferita. «E' il mio primo 7 aprile. Ma lo celebro senza i miei fedeli vicino. Spiega il vescovo - le difficoltà, le privazioni dell'oggi ci fanno capire che questa triste circostanza non è una pagina antica di storia, ma qualcosa di ancora vivo e attuale». Cita Papa Francesco e l'omelia di pochi giorni fa. «La fede oggi ci dà forza e speranza. Siamo stati salvati per tornare ad abbracciarci». Tomasi si riallaccia al tempo presente. «E' un momento difficile, di sospensione. Possa essere una sosta per ricominciare insieme».
La chiusura è un pensiero affettuoso «a chi ha perso un caro e alle famiglie dei contagiati» conclude il vescovo. Il Prefetto torna con la memoria allo scorso anno. «E' stato il mio primo 7 aprile. C'era una città compatta, piena di vita e unita nel ricordo. Oggi è un tempo difficile. Mai come oggi capiamo le sofferenze della guerra. Ma siamo una società forte che saprà reagire e fare tesoro delle avversità».
Dal palazzo dei Trecento infine Mario Conte legge il discorso di commemorazione che inizia con la testimonianza di Marisa Guolo e prosegue con la ricostruzione. «Si diede un tetto ai cittadini, si penso allo sviluppo, a vivere e non a sopravvivere. Arrivarono servizi, industrie, strade. Nel 1956 Treviso era una Città rinnovata, nella quale convivevano i ricordi e l'innovazione, le ferite, le cicatrici e anche i risultati di una strepitosa e ritrovata vitalità». In 10 anni il capoluogo di nuovo diventò una città operosa, produttiva e ridente. «Noi, fortunatamente, non dobbiamo ricostruire palazzi -prosegue Conte- C'è chi in questo mese ha perso tutto e vede nelle serrande abbassate le macerie di anni di sacrifici. Ci sono imprenditori che temono il fallimento, partite Iva e tanti professionisti che ora faticano a mettere insieme una cifra per soddisfare un fabbisogno minimo. Dobbiamo però ripartire. Aiutando e aiutandoci».
Elena Filini
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