Ogni giovedì in piazza a Bassano c'è un bancone in cui si vendono libri

Lunedì 13 Luglio 2020
Ogni giovedì in piazza a Bassano c'è un bancone in cui si vendono libri anche usciti parecchi anni fa. Vi ho trovato un volume che mi interessava molto, pubblicato nel marzo 1997 con l'editore Neri Pozza di Vicenza. Il titolo è Il calcio Veneto di Gianni Brera, uno scrittore che ho avuto la fortuna di conoscere a Milano tanto tempo fa quando mi invitò a pranzo. L'introduzione dell'opera è fatta dal figlio di Gianni Brera, Paolo, che scrive: «Non solo per dovere Brera accettò di scrivere una storia del calcio veneto. Non era nato in Veneto, Gianni Brera. Però per l'inventore della parola Padania era difficile non apprezzare questa regione di fiumi e di pianure, di città e di ville, di montagne tante e laghi pochi, una regione che sulle acque di un mare rimasto per secoli veneto sboccia nella prodigiosa ninfea di marmo che è Venezia». Le ragioni e le emozioni che sono all'origine di questo felicissimo libro sono dunque quelle dichiarate da suo figlio: non ammira i veneti soltanto chi non li conosce e Brera li conosceva. In Veneto contava molti amici. Come gli veniva naturale, di questa vicinanza spirituale e caratteriale che percepiva in loro andava a cercare le radici etnico-storiche: nelle popolazioni venetiche. I veneti allevatori di cavalli dell'epoca classica si sono trasformati, in età più recenti, nei veneti corridori di biciclette. E se una popolazione si esprime anche nello sport, l'idea di una storia del calcio veneto poteva solo piacere a Brera. Il quale si dedicò al progetto con entusiasmo realizzandolo secondo un'ottica tutta personale, per cui i caratteri e le abilità tecniche di giocatori e squadre possono essere colti solo se ci si rifà anche ad un quadro di riferimento più generale, appunto storico e sociale.
Parlando di Vicenza, Gianni Brera afferma che la città lo ha sedotto senza riserve e che i suoi dolcissimi colli hanno finito per debellare le sue ultime resistenze. Un vecchio amico, Carlo Pavesi, campione olimpico di spada, lo ha aiutato a conoscere la città. Un altro amico incontrato nello sport, Tullio Campagnolo, gli ha insegnato come salire i deliziosi Colli Berici. Poi il calcio. Il Vicenza non ha mai vinto un campionato; onestamente non avrebbe potuto senza sconvolgere l'ordine economico e tecnico dello sport nazionale, però ha fatto cose tanto convincenti da meritarsi l'ammirazione e perfino l'invidia (per una volta senza malanimo) di tutto il nostro ambiente. Come il Padova in fatto di modulo (il catenaccio, esportato in tutto il mondo!) così il Vicenza ha aggiunto qualcosa al costume nazionale, inventando il primo sponsor nella storia del calcio. Quando si è sciolta l'Associazione Calcio Vicenza, lasciando un passivo di 50 milioni nel 1953, il Lanificio Rossi di Schio si è fatto avanti per rilevare debiti e cartellini. Dopo due anni il Vicenza riconquista la serie A per rimanervi un ventennio buono.
Devo ringraziare Gianni Brera perché nel suo libro parla anche di me, riferendosi al mio unico trasferimento in serie A, al Bologna nel 1959 per due campionati: «Lascia il Lanerossi un elemento civile e tosto come Sergio Campana, che viene ceduto al Bologna. Sta laureandosi in legge ed il trasferimento gli gioverà in tutti i sensi. È un ragazzo di prim'ordine, calmo e dotato. Un giorno sarà il Presidente dell'Associazione italiana calciatori». Grazie Gianni.
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