Oggi sarà un nuovo giorno importante, per il Chievo. È il giorno dell'udienza

Giovedì 26 Agosto 2021
Oggi sarà un nuovo giorno importante, per il Chievo. È il giorno dell'udienza al Consiglio di Stato, con la quale il presidente Luca Campedelli cercherà di far riammettere la squadra in sovrannumero, alla serie B. È il quinto grado di giudizio, di fatto, per il secondo club veronese, le speranze sono minime. Intanto l'ex ds Sergio Pellissier ha registrato la nuova società, il Football Club Chievo 1929, assieme a Enzo Zanin, l'ex portiere e poi dg gialloblù. Pellissier, bandiera clivense, in estate è diventato direttore generale del Rovigo, in prima categoria. E si sta godendo ancora qualche giorno al mare. «Avevo già programmato la vacanza. Speravo nel miracolo di iscrivere la società in serie D, il termine è scaduto martedì a mezzogiorno, comunque ho registrato la nuova società. Per quest'anno - dice - ci basterà iniziare dal settore giovanile, cerchiamo qualche ragazzo, anche se i club più importanti si sono già mossi. Ormai siamo a settembre, la prossima stagione vedremo».
In che categoria potrebbe giocare il nuovo Chievo?
«In teoria in terza, proprio nell'ultimo dei campionati. A meno che qualcuno rinunci, in categorie superiori, o che emerga qualche fusione possibile, nel caso qualcuno volesse vendere la categoria. Cerchiamo un progetto credibile, a prescindere».
Chi c'è con lei?
«Al momento solo Zanin. Avevo cercato imprenditori per la serie D, una dozzina e passa avevano dato disponibilità, il problema era proprio la mancanza di tempo, dall'esclusione dalla serie B alla possibile ripartenza in D il margine era troppo ristretto».
Come ha sentito il presidente Luca Campedelli, in questi mesi?
«Da un anno non ci sentiamo, ovvero da quando me ne sono andato».
Per lasciare spazio a Giorgio De Giorgis, 64 anni, già procuratore di Roberto Mancini...
«Era il ds ma in realtà non aveva il patentino per farlo, figurava come responsabile dell'area tecnica. Mi sono preso un anno sabbatico e adesso sono ripartito da Rovigo».
Perché è dovuto andarsene?
«Per la verità cercavo di dimenticare. C'ero dal 2000, come giocatore, dal prestito alla Spal. Se ho dovuto lasciare è perché le mie idee non coincidevano con quelle di chi gestiva la società».
Ovvero Campedelli?
«Con lui non ho mai discusso, ho lasciato senza mai bisticciare».
Non come 4 anni fa Luca Toni nei confronti di Maurizio Setti, presidente del Verona...
«Esatto. Aveva messo certe persone al comando di una società a cui tenevo particolarmente, questo mi diede molto fastidio e allora preferii andare via, anziché soffrire dall'interno e fargli buttare via i soldi per il mio stipendio, senza essere utile. Avrei persino potuto lavorare gratis, dato l'affetto per il Chievo, ma con qualche responsabilità in più. Il suo errore è stato accantonare persone che volevano realmente bene al Chievo e avevano dato tanto».
In realtà il miracolo è durato persino troppo, se consideriamo che è espressione di un quartiere di appena 8mila abitanti, contro, potenzialmente, la sesta tifoseria d'Italia, dell'Hellas.
«La differenza di pubblico incide, anche nelle risorse. Ma pensiamo al Cittadella, che quest'anno è arrivato in finale playoff per la promozione in serie A con l'ultimo monte stipendi. Non è indispensabile avere un super budget per fare buon calcio».
L'inizio della fine fu nell'estate del 2014, con il passaggio del ds Giovanni Sartori all'Atalanta?
«In parte. Con lui avevo un buonissimo rapporto, malgrado non fossero mancati gli screzi, nei 12 anni condivisi al Chievo. Mi ispiro anche a Sartori, nella nuova carriera: servono passione ed esperienza. Giovanni va tanto sui campi, a seguire talenti: non farebbe bene ai giocatori bergamaschi se tutti i giorni fosse con loro, altrimenti finirebbe con l'essere team manager o parte del gruppo. Ha tante responsabilità, non solo stare dietro alla prima squadra».
L'altro snodo negativo fu la penalizzazione di 3 punti nell'ultima serie A, del 2018-19, preludio alla retrocessione. Campedelli abusava delle plusvalenze?
«Sono regolarissime, purtroppo, in questo mondo. Le grandi squadre le fanno, vengono però gestite in maniera diversa. C'è gente che non ha mai neanche debuttato nelle grandi eppure viene valutata milioni di euro, ma quelle passano in sordina. Il Chievo venne punito per situazioni che fanno tutti, ancora adesso. O si levano completamente o si mantengono in ogni categoria».
Non a caso il presidente Campedelli ha chiesto l'accesso agli atti delle altre società, ma gli sono stati negati...
«Quando arrivò quella penalizzazione, emerse che il Cesena non aveva fatto plusvalenze solo con noi ma con tanti club».
Cos'avrebbe detto Luigi Campedelli, papà di Luca, scomparso nel '92, di questa fine?
«Non sarebbe stato contento, come la cinquantina di dipendenti che adesso sono rimasti a piedi. Dispiace perdere all'improvviso qualcosa per la quale si è lavorato così a lungo».
Nessun grande personaggio si è mai avvicinato al Chievo, magari dall'estero, per affiancare Campedelli?
«Che sappia io, no. Del resto sino a due anni fa ho sempre pensato solo a giocare, sino ai 40 anni. Il pacchetto azionario è sempre stato della Paluani, la sua azienda, comunque aveva altri sponsor».
In varie regioni ci sono banche e persino province ad aiutare i club, a Verona è mancato l'appoggio delle istituzioni, per salvare il Chievo?
«Occorre gestire le negatività da soli, senza aspettare aiuti da altri. Con Giovanni Sartori, tante decisioni erano del ds, poi quasi tutte vennero prese dal presidente».
A Verona resta la serie A con l'Hellas e una doppia serie C, con la Virtus Vecomp e con il Legnago.
«La Virtus ha una bella storia, con Luigi Fresco, presidente e allenatore, dall'82, ma la nostra era unica. Siamo arrivati due volte in Europa e adesso siamo dietro tutti, in terza categoria».
In fondo nel 1960 era in seconda...
Vanni Zagnoli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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