Da diverso tempo si sta osservando da più parti che l'Italia è un paese

Lunedì 6 Luglio 2020
Da diverso tempo si sta osservando da più parti che l'Italia è un paese vecchio non solo per quanto riguarda la popolazione, ma anche per l'impiantistica sportiva. Le strutture, nella stragrande maggioranza, sono di proprietà pubblica e va messo in rilievo pertanto un elemento che non aiuta particolarmente: la scarsità di risorse e di mezzi economici, che spesso sono sottoposti a vincoli precisi di bilancio. Portiamo un esempio dello sport più popolare, il calcio. L'età media di un elemento fondamentale, cioè degli stadi delle società professionistiche (dato fornito dalla Figc), è superiore ai 60 anni. Nel 95% dei casi sono tutte strutture di carattere pubblico ed è da sottolineare la percentuale dei posti coperti, il 54%.
Negli ultimi 10 anni, in serie A, sono stati costruiti o rimessi a posto appena quattro stadi: Allianz Stadium a Torino, Mapei Stadium a Reggio Emila, Dacia Arena a Udine, Benedetto Stirpe a Frosinone (nel medio periodo sono in dirittura d'arrivo gli stadi dell'Atalanta e del Cagliari). Se si dà un'occhiata all'Europa, si vede che dal 2007 al 2017 sono stati inaugurati 139 stadi, con notevoli investimenti complessivi pari a 13,7 miliardi di euro. Sono numeri significativi che hanno generato economia e sviluppo anche per altri settori vicini, oltre a presentare un'immagine moderna non solo delle società interessate, ma anche delle città e delle realtà territoriali di riferimento. Ma se il ricco mondo del pallone riesce, alla fine, a crescere e ad attirare investimenti privati importanti, fuori da questa struttura lo stato di salute del Paese, se ci riferiamo all'impiantistica, non è assolutamente positivo. Molte delle risorse disponibili vengono orientate alla manutenzione del complesso impianti esistente, ma gli impianti sportivi nuovi sono ormai una netta rarità e, nella stragrande maggioranza dei casi, è stato ritenuto necessario mettere insieme formule miste (pubblico-privato) per arrivare all'apertura di strutture dedicate allo sport. Se il calcio, sport nazional-popolare per eccellenza, non è felice, la situazione è molto più grave quando l'esame riguarda i territori del nostro Paese, nel quale la pratica sportiva avviene per lo più in strutture poco moderne e per nulla rispondenti alla crescente domanda sportiva da parte dei cittadini. Già alcuni anni fa è iniziata la lagnanza dei praticanti lo sport, oltre che degli enti locali. La spesa dei comuni per l'impiantistica sportiva, negli ultimi anni, è calata pesantemente.
Analizzando in modo particolare la situazione, è evidente che si è passati da investimenti (a favore dello sport) vicini al 25% negli anni 90, al 12% nel migliore dei casi negli anni successivi. Oltre a ciò, dei comuni che avevano superato il tetto del 16% sono stati costretti a rientrare, privilegiando investimenti ritenuti più importanti, come quelli per le scuole, solo in parte riguardanti la ristrutturazione di palestre. Ulteriori entrate da destinare allo sport, per molti anni, sono arrivate da altre fonti, ma anche queste si sono ridotte nell'ultimo decennio. Diventa pertanto irrimandabile individuare nuove politiche pubbliche per rispondere alla domanda di sport dei cittadini, puntando sulle caratteristiche e sulle opportunità offerte dai diversi territori, soprattutto in alcune regioni italiane del Sud. Proprio perché le risorse, a disposizione del settore pubblico per lo sport, sono sempre più limitate.
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