«Subito una commissione»

Sabato 20 Aprile 2019
POLITICA MOBILITATA
ROVIGO Una nuova commissione speciale d'inchiesta per le acque inquinate dai Pfas. La chiede (assieme ai colleghi Ruzante e Guarda) la consigliera regionale Patrizia Bartelle (nella foto) che, guarda caso, risiede a Corbola, dove è stata rilevata, nei campionamenti eseguiti dall'Arpav il 28 marzo e il 2 aprile, una nuova preoccupante presenza di una sostanza della famiglia dei Pfas, il C6O4, nelle acque del Po, nei pressi, a monte e a valle della centrale di potabilizzazione di Acquevenete. La richiesta dei consiglieri di opposizione, però, non è stata fatta per questo specifico episodio di inquinamento. Il punto di partenza sarebbe un'informativa dei Noe (Nucleo ecologico dei carabinieri) di Treviso che avrebbero ravvisato presunte inadempienze nella comunicazione della presenza dei Pfas fin dal 2006, sebbene essa fosse nota e fosse conosciuta la tossicità di queste molecole. La Commissione speciale, quindi, dovrebbe, per un periodo di due mesi, eventualmente prorogabile di altri due, indagare, dal punto di vista amministrativo per capire se ci siano effettivamente state queste omesse comunicazioni, ponendosi in continuità con la precedente indagine della prima Commissione speciale sui Pfas che aveva lavorato tra il 2017 e il 2018.
ORIGINI INCERTE
In attesa di capire se, da questa nuova Commissione o da altri atti d'indagine, emergeranno nuove vicende, l'inquinamento riscontrato a Corbola rimane avvolto nel mistero, quantomeno rispetto alle sue origini. La Regione stessa e l'Arpav, infatti, hanno escluso, per ragioni di conformazione geografica del territorio, che la sostanza rilevata possa provenire dall'area inquinata della Miteni, azienda che ha rilasciato, negli anni, grandi quantità di Pfas in Veneto. D'altra parte, lo stabilimento dell'unica altra azienda, in Italia, autorizzata a produrre il C6O4, come risulta dal sito dell'Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche) si trova in Piemonte, a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. Se la provenienza dell'inquinante fosse questa, però, sarebbe difficilmente spiegabile la sua concentrazione (80 nanogrammi per litro) che gli esperti ritengono decisamente alta («E' come se nel Po venissero riversati quattro chili di sostanza al giorno» dice Nicola Dell'Acqua, commissario regionale per i Pfas) e che, invece, lungo quel percorso, dovrebbe essere molto diluita. D'altra parte il richiamo che il Veneto ha lanciato (tramite il presidente Zaia e lo stesso Dell'Acqua) alle altre Regioni dell'asta fluviale (Emilia, Lombardia e Piemonte) per una maggiore vigilanza sui possibili sversamenti, ha provocato roventi polemiche politiche. Un aiuto alla comprensione del problema potrebbe venire dalle considerazioni di alcuni esperti che osservano come il C6O4 non sia solo un Pfas, ma anche un componente del processo di sintesi di altri Pfas più complessi e che, quindi, potrebbe derivare da una degradazione di questi ultimi. In tal caso il problema non sarebbe chi produce il C6O4, ma chi lo utilizza ed, eventualmente, smaltisce i prodotti che lo contengono in maniera più o meno lecita. E, in Polesine, gli spandimenti di fanghi inquinanti non sono estranei alla cronaca giudiziaria.
Diego Degan
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