«La mia guerra contro l'indifferenza»

Mercoledì 21 Marzo 2018
«La mia guerra contro l'indifferenza»
LA STORIA
ROVIGO «La mia scelta è stata un po' pazza, me ne rendo conto, ma l'indifferenza è un veleno che scorre lentamente e ci porta a chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie. E sì, la guerra è una m..., è orrore, è morte, noi europei siamo fortunati a non sapere nemmeno cosa significhi, ma per tanti è una realtà quotidiana. Ci sono anche piccoli gesti, molto meno radicali, che possono cambiare il corso delle cose».
Marco apparentemente non dimostra di più dei suoi 23 anni. E' un ragazzo come tanti altri. Ma il suo esempio sfata molti dei luoghi comuni sui giovani e sulla politica in generale. Negli ultimi sei mesi ha scelto di vivere in prima persona l'esperienza della guerra siriana. Dopo la laurea in Storia, a settembre, è partito e si è arruolato come volontario internazionale nelle milizie curde, combattendo contro l'Isis e in difesa di Afrin, contro la quale, a gennaio, la Turchia ha sferrato un attacco militare conclusosi domenica con l'ingresso in città. Marco è appena tornato. Si è tagliato i capelli e si è riposato.
LA STANCHEZZA
«Non lo nascondo sorride -, è stata una bella sensazione dormire nel mio letto». Sorseggia una birra nel bar dove, fino all'estate scorsa, si è trovato quasi ogni sera. Qualcuno dei suoi amici lo saluta, qualcuno non sa nemmeno cosa abbia fatto ultimamente e perché non si è visto in giro. «Dopo l'addestramento nell'accademia racconta - sono andato a Deir ez-Zor, dove c'è ancora una fascia di territorio occupata da Daesh, lo stato islamico. È stato quello il mio primo incontro con la guerra. Avevo già preso in mano un'arma, ma quelle sono state le prime volte in cui ho sparato davvero». Poi, la decisione di muovere in difesa di Afrin, sulla quale, quasi ogni sera, calavano le bombe lanciate dall'aviazione turca. «Ho avuto paura, quel suono è terrorizzante. E due giorni fa, appena, tornato a Rovigo, quando ho sentito il rumore di un aereo ho provato quella stessa sensazione».
L'INDIFFERENZA PER I CURDI
Ma la vera paura è stata un'altra: «Pensare - spiega - che tutto potesse essere inutile. E quando sono tornato, purtroppo, mi sono reso conto del silenzio sulle vicende curde. Certo, non è facile in una realtà come la nostra in cui siamo assordati da mille stimoli e da bombardamenti commerciali. Ma ora credo di dovermi impegnare proprio per far passare questo messaggio». Perché abbia scelto di andare a lottare per difendere il popolo curdo e il «confederalismo democratico» del Rojava è forse l'aspetto più difficile da spiegare: «C'è un lato umano e un lato politico - risponde - . Quello che è stato messo in piedi è un esperimento di governo che ribalta il paradigma al quale siamo abituati. E' completamente alternativo al sistema globalizzato, dove tutto è merce, oggettificato e comprato. Non so se sia esportabile, parte dal basso, dai municipi, dai piccoli centri. Dalle singole persone. E dalle donne: è indubbiamente la rivoluzione delle donne, dirompente non solo a livello mediorientale ma anche occidentale. Una delle cose più interessanti è stata vedere la reazione degli arabi di fronte a donne che non solo non avevano il velo, ma che addirittura davano ordini. Ho conosciuto donne con più palle di 100 uomini». Della realtà curda, tanti gli aspetti che gli sono entrate nel cuore: «La vita in comunità, il saper vivere insieme, con i pasti che sono un momento di totale condivisione, l'accoglienza calorosa, con sconosciuti che mi hanno trattato come un principe, la pazienza e la diversa concezione del tempo, molto diversa rispetto alla nostra che non sappiamo più aspettare presi dalla frenesia, ma anche la capacità di non perdere il sorriso, nonostante tutto quello che stava accadendo. Passavamo le serate a cantare, mentre a un chilometro cadevano le bombe». Su cosa gli sia mancato di più, però, Marco non ha dubbi: «La pizza e il caffé. Perché il pane arabo è buono, ne ho mangiato tanto, anche compulsivamente, nei momenti di tensione, ma il cibo italiano si fa sentire quando non c'è».
Francesco Campi
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