L'alcol e la violenza alla base del delitto

Mercoledì 24 Febbraio 2021
IL PARRICIDIO
PORTO VIRO «Ma smettila di bere, guarda come ti sei ridotto». Più o meno una frase di questo tipo ha acceso il litigio culminato con l'omicidio. A fare da detonatore alle tensioni fra Giovanni e Gabriele Finotello, padre e figlio, sarebbe stato l'alcol. Benzina sul fuoco di tensioni latenti. Scoppiate improvvisamente nel primo pomeriggio di lunedì e culminate con il parricidio di Porto Viro.
L'UDIENZA DI CONVALIDA
Questa mattina il 29enne comparirà virtualmente, in teleconferenza, collegato dal carcere di Rovigo, davanti al giudice per le indagini preliminari Pietro Mondaini. Ma già poco dopo il fatto, nella stazione dei carabinieri di Porto Viro, di fronte ai militari ed al sostituto procuratore Andrea Bigiarini che coordina le indagini, il giovane ha ammesso il proprio gesto, senza negare, di fatto assumendosene la responsabilità e realizzandone portata e disvalore, pur senza quasi riuscire a capacitarsene.
LA RICOSTRUZIONE
Ha ricostruito quei minuti bui, il violento alterco con il padre al quale avrebbe rimproverato di essere completamente ubriaco. Insulti, una prima zuffa, spintoni. Poi un gesto inconsulto, in un raptus d'ira, il martello cercato, impugnato e levato contro il proprio genitore. Una, due, tre, forse quattro volte. Al busto, alla testa. Colpi letali. Poi, la drammatica consapevolezza, la chiamata al 118 e l'attesa dei carabinieri, subito arrivati. Nessun tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, né di nascondere le tracce, evidenti, di quanto appena accaduto.
LA CONFESSIONE
Quanto raccontato dal 29enne sembra trovare riscontri negli elementi che gli inquirenti hanno messo insieme dal sopralluogo nell'abitazione dove i due vivevano da soli, in via Siviero 50, a Taglio di Donada. Il martello, il sangue, i segni della lite e del suo tragico epilogo, tutto sembra incastrarsi con quanto riferito dal giovane e, del resto, non sembrerebbero esserci altre possibili spiegazioni di quanto accaduto in quei terribili momenti che hanno cambiato per sempre il corso di due vite. Quella del padre 56enne, al momento disoccupato, e quella del figlio 29enne, che invece lavora come Oss agli Istituti Polesani di Ficarolo. La prima, quella del 56enne che in passato aveva fatto vari lavori, dal camionista all'ortolano, ma che era in questo momento disoccupato e che stava attraversando un momento di difficoltà che cercava di rendere meno amaro con l'alcol, che si è interrotta alle 16 di lunedì, quando nonostante la disperata corsa in ambulanza alla Casa di Cura Madonna della Salute e i tentativi dei medici di rianimarlo, è stato dichiarato il suo decesso. La seconda, quella del figlio, che aveva trovato una propria strada come operatore sociosanitario, distrutta dal gesto omicida.
RANCORI A LUNGO SOPITI
La situazione, in realtà, era diventata difficile da tempo. Secondo quanto avrebbe riferito, le liti violente non erano una rarità. L'uomo avrebbe più volte alzato le mani, anche in passato, uno dei motivi per il quale la madre avrebbe deciso di separarsi e anche il fratello più piccolo se n'era andato di casa. Lui era rimasto insieme al padre perché inizialmente pensava di rimanere a Porto Viro, ma dopo aver trovato lavoro a Ficarolo stava pensando di trasferirsi là. Questo almeno il quadro che il 29enne avrebbe tratteggiato di fronte agli inquirenti, non come scusa del proprio gesto, ma per contestualizzarlo. Non si sa se oggi, nell'interrogatorio di garanzia, il giovane, accusato di omicidio volontario aggravato dall'aver ucciso il proprio padre, assistito dall'avvocato Francesca Ledda, sceglierà di rispondere alle domande del gip o di avvalersi della facoltà di non rispondere. In ogni caso gli inquirenti sembrano aver già formulato una ricostruzione abbastanza compiuta del fatto, anche per la collaborazione fin da subito mostrata dal 29enne. A breve sarà anche disposta l'autopsia, anche se è tristemente chiaro quale sia stata la causa del decesso.
Francesco Campi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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