SITUAZIONE COMPLICATA
BELLUNO Fusione dei Comuni? A Belluno nessuno (o quasi)

Mercoledì 23 Giugno 2021
SITUAZIONE COMPLICATA
BELLUNO Fusione dei Comuni? A Belluno nessuno (o quasi) la vuole nonostante sia evidente il guadagno economico che ne consegue. La posizione dei sindaci contrari è netta. C'è chi ha perso l'entusiasmo, chi non ci pensa più e chi è subissato di lavoro e non ha tempo nemmeno di risolvere le emergenze quotidiane del suo municipio. «Quando sposi un povero spiega il sindaco di Vodo di Cadore Domenico Belfi e tu stesso sei povero, rimani tale. Mi sento abbandonato dallo Stato. Si dimenticano delle piccole realtà e fanno leggi solo per gli altri».
IL QUADRO GENERALE
La provincia dolomitica ha 17 comuni con meno di 1000 abitanti e 26 che contano tra le 1001 e le 3mila persone. Negli ultimi 20 anni si è parlato di unire o fondere Falcade a Canale, Domegge a Lozzo, Soverzene a Longarone (o a Ponte nelle Alpi), San Pietro a Santo Stefano di Cadore. Ipotesi rimaste nel cassetto e poi dimenticate. Ma ci sono stati anche esempi virtuosi. Nel 2016 Forno di Zoldo e Zoldo Alto hanno dato vita alla Val di Zoldo. «Continuo a pensare sottolinea il sindaco Camillo De Pellegrin che la fusione sia un percorso di comunità e non uno strumento per aumentare le entrate. Tuttavia non restituiamo di certo ciò che ci viene dato e ad oggi siamo primi». Con una media annua di 239 euro per abitante, pari a quasi 3 milioni e mezzo in 5 anni, Val di Zoldo è il comune veneto che ha guadagnato di più dal processo di fusione grazie a dei contributi statali ad hoc che i comuni scissi, altrimenti, non avrebbero preso. Eppure finché questi soldi non entrano effettivamente nelle casse dell'amministrazione non rappresentano un motivo abbastanza forte per fare la scelta.
IN COMELICO
«Pensiamo al disastro di Vaia riflette Giancarlo Ianese, primo cittadino di San Nicolò e presidente dell'Unione montana Comelico Come vallata abbiamo ricevuto 12 milioni di euro. Con un solo sindaco (al posto di 5, ndr) ne avremmo presi 5. Di certo non ci uniamo per avere la miseria». Ianese è sempre stato contrario alla fusione dei comuni e non lo nasconde. Però mette in luce un problema, tutt'altro che secondario, riguardante l'elasticità dei paesi di montagna: «Le mentalità dei piccoli comuni sono difficili da unire. I cittadini non si adattano. Un conto è se il comune viene gestito da un sindaco locale. Ma se arriva da fuori non se ne parla proprio».
IN CADORE
Vodo di Cadore rientra tra i comuni con meno di mille abitanti. Ne ha 825. Parlando con il sindaco Domenico Belfi si capisce che l'argomento non rientra tra le priorità (nonostante si fosse ipotizzata, in passato, la fusione con Borca): «Siamo impegnati ad affrontare le emergenze immediate, quella non è all'ordine del giorno». A Vodo manca infatti un segretario comunale da novembre e l'ufficio tecnico è scoperto da un anno e mezzo. «Si fa fatica a sbarcare il lunario continua Belfi Non ci resta che rimanere in trincea e continuare a combattere finché a qualcuno non verrà un infarto per troppo lavoro». Sono le difficoltà dei piccoli comuni: «Una volta si poteva parlare alla gente, prospettare scenari, ora è già tanto se riusciamo a fare una determina per lo sgombero neve in caso di emergenza». Si respira la stessa area sconsolata a Domegge di Cadore. Il primo cittadino Achille Barnabò aggiunge soltanto che «l'argomento non è mai stato affrontato in modo concreto» e che prima «bisogna attuare ciò che era previsto nel programma elettorale». La fusione, possibile con Lozzo (che si trova a soli 4 chilometri di distanza e che non ha un sindaco da anni), non rientra tra i punti del programma.
CHI CI GUADAGNA
Gli esempi di comuni che hanno preso risorse aggiuntive grazie alla fusione sono numerosi. Oltre a Val di Zoldo, anche Longarone: più di 7 milioni e mezzo dal 2014 al 2021. «Che sarà dei nuovi comuni una volta terminata l'onda dei sostegni che inducono a veloci matrimoni?» si chiede Dario Scopel, sindaco di Seren del Grappa e componente del direttivo dell'Associazione nazionale piccoli Comuni d'Italia. «In realtà conclude sono già numerosi i servizi erogati dai piccoli Comuni in forma associata, ad esempio grazie alle Unioni Montane. Non mi pare che quelli di dimensioni maggiori riescano a fornire risposte migliori o più tempestive, ad esempio per quanto riguarda l'ambito sociale». La questione rimane aperta.
Davide Piol
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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