Silvio Pellico, dai Piombi il suo manifesto per la libertà

Domenica 12 Luglio 2020
A Venezia trascorse solamente pochi mesi della sua vita, tra i peggiori della sua intera esistenza. Eppure il legame tra Silvio Pellico e la città è indistricabile, complice anche quella che è probabilmente la sua opera più celebre, Le mie prigioni, in cui la descrizione del suo isolamento nei Piombi e del suo amore poco più che platonico per la Zanze, la giovane figlia del custode del carcere è diventata una delle pagine più alte della letteratura dell'Ottocento, oltre che un manifesto della lotta per l'indipendenza dal giogo straniero.
Al momento del suo arresto a Milano, il 13 ottobre del 1820, Pellico aveva già scritto alcune opere di successo, come la Francesca da Rimini, e dirigeva Il Conciliatore, rivista di idee tendenzialmente risorgimentali. Ma la sua appartenenza alla setta segreta dei Federati e l'intercettazione di alcune lettere compromettenti di Pietro Maroncelli non gli fecero ottenere sconti da parte della polizia austriaca che lo imprigionò con lo stesso Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri congiurati. Pellico fu condotto a Venezia, dove fu imprigionato dapprima ai Piombi e poi a San Michele in Isola, dove rimase fino al 20 febbraio 1822.
Il giorno successivo fu letta la sentenza di condanna a morte, commutata in venti anni di carcere duro per Maroncelli e quindici per Pellico.
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