«Sì, potevano intervenire dall'alto Come la mia notte sulla Fenice»

Martedì 16 Aprile 2019
«Sì, potevano intervenire dall'alto Come la mia notte sulla Fenice»
IL RICORDO
VENEZIA «Dall'aeroporto di Tessera vedevo un pennacchio rosso, sembrava un vulcano: è la stessa sensazione che ho adesso, davanti alle immagini in televisione...». Roberto Tentellini è in vacanza all'estero e sta guardando la diretta di Notre-Dame che brucia, così come ardeva la Fenice la sera del 29 gennaio 1996, quando alle 21.30 ricevette la telefonata di Alfio Pini, allora comandante provinciale dei vigili del fuoco di Venezia. E lui, che era a capo del nucleo elicotteri, decollò subito per andare a spegnere dal cielo l'inferno che si era scatenato in terra.
I 220 SGANCI
Un ricordo indimenticabile per molti, a maggior ragione per Tentellini, 45 anni di servizio di cui 40 trascorsi in volo. «Di quella notte rammento un intervento molto impegnativo e inevitabilmente rischioso. Giù c'erano cento colleghi, mentre lassù eravamo in tre». A bordo di Drago 30 c'erano infatti anche il pilota Lucio Donà e il meccanico Paolo Tiberi. «Operavamo come si deve fare in quei casi racconta senza preoccuparci della forza del fuoco. Siamo abituati a volare su quel tipo di incendi, anche su un bosco è altrettanto forte l'impressione che danno le fiamme quando ci si sta sopra e a dieci metri di distanza ci sono 800 gradi». Ma quello non era un rogo qualunque: gli occhi del mondo erano puntati su Campo San Fantin. «Quello l'avremmo saputo dopo precisa il 74enne in quel momento dovevamo solo pensare agli sganci: ne facemmo 220, da mille litri d'acqua ciascuno, di continuo. Non potevamo fermarci, se volevamo rendere efficace l'opera di raffreddamento della massa di legno che costituiva la Fenice, un po' come sarebbe stato con Notre-Dame».
L'ISTINTO
Inevitabile il confronto con Parigi. «L'intervento dall'alto sarebbe stato ideale anche nel caso della cattedrale riflette Tentellini perché il cantiere è pieno di impalcature. I getti d'acqua si infrangono sui tubi e non penetrano all'interno, mentre dall'alto la cascata sarebbe stata più diretta». L'istinto del pompiere-elicotterista, anche ora che è in pensione dal 2010. «Una volta confida portammo una malata da Mirano a Parigi e dovemmo fermarci là due notti. Stasera mi è venuto spontaneo pensare che, se fossi stato nella capitale, mi sarei dato da fare. Ma probabilmente i francesi non ci avrebbero fatto volare, per loro sarebbe stato uno smacco... Del resto bisogna avere la voglia e il coraggio di andarci. A me quella notte non obbligò nessuno, anzi rischiai pure una lettera di contestazione per averlo fatto, perché l'attrezzatura da mille litri era destinata solo agli incendi boschivi».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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