Schiavon e Mazzaro: le altre tragedie consumate nei capannoni di Vigonza

Mercoledì 6 Marzo 2019
Schiavon e Mazzaro: le altre tragedie consumate nei capannoni di Vigonza
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VIGONZA La comunità di Vigonza ieri si è trovata a rivivere i drammatici e dolorosi momenti che l'hanno già segnata in un recente passato. In otto anni già tre imprenditori si sono tolti la vita nella loro azienda, considerata una loro seconda casa.
L'elenco di chi si è tolto la vita per non dover più affrontare problemi e debiti inizia con il suicidio di Giovanni Schiavon, 59 anni, titolare della ditta Eurostrade 90 in via Andreon a Peraga. Era il tardo pomeriggio di lunedì 12 dicembre del 2011 quando l'impresario, chiuso nel suo ufficio in azienda, si è seduto al tavolo della scrivania e si è puntato la pistola alla testa. Poco prima di uccidersi Schiavon aveva scritto un biglietto per spiegare le ragioni del suo gesto e per lasciare un ultimo saluto alla figlia e alla moglie: una situazione debitoria pesante dell'azienda a fronte di ritardi nella riscossione di pagamenti per lavori pubblici eseguiti. Un anno prima i pagamenti da parte dei clienti, già in ritardo, si erano fermati. E così era scattata la cassa integrazione per sette dipendenti. Schiavon aveva cercato inutilmente di riscuotere crediti per 200mila euro che vantava e che sperava potessero risollevare le sorti della sua azienda. Quello alle porte sarebbe stato un Natale di cassa integrazione anche per gli altri dipendenti di Schiavon. Un peso che l'uomo non è riuscito a sopportare.
Due anni dopo il 10 febbraio del 2013, una domenica, si è tolta la vita nella sua azienda in via Regia a Busa di Vigonza Albino Mazzaro, 54 anni, residente a Cadoneghe. Anche il suo gesto legato alle difficoltà economiche dell'attività che aveva insieme al fratello della Mazzaro Giulio & C: una ditta per tanti anni specializzata nella realizzazione di componenti per biciclette e poco prima del 2013 riconvertita, per via delle difficoltà del settore, nella produzione di componenti in metallo per l'arredo. L'uomo si è impiccato all'interno del capannone e accanto a lui ha lasciato un biglietto alla moglie e al fratello con scritto «Non ce la faccio più». Poche parole che racchiudono tutta la sua disperazione. Le difficoltà economiche lo avevano costretto a rallentare la produzione fino a sospenderla e a chiedere la cassa integrazione per i suoi dipendenti, una decina in tutto. Alla fine non era più riuscito a sopportare la responsabilità della situazione e non vedendo una soluzione per risalire e ripartire, Albino Mazzaro l'aveva fatta finita proprio lì, nel capannone della sua azienda.
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