Regno Unito al bivio

Mercoledì 16 Gennaio 2019
LA BOCCIATURA
LONDRA La sconfitta più pesante della storia dei governi britannici: con 202 sì e 432 no Westminster ha emesso il più categorico dei verdetti nei confronti dell'accordo raggiunto dalla premier Theresa May con Bruxelles sulla Brexit nel novembre scorso. Un risultato annunciato, di cui si aspettava solo di capire la portata, che è apparsa chiaramente al termine di una lunghissima giornata di dibattiti e colpi di scena, in cui la May ha fatto di tutto per convincere i suoi a dare un «secondo sguardo» alla sua proposta di una Brexit netta ma con alcuni, inevitabili, legami residui con l'Unione europea, primo di tutti quello per evitare un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del nord. «E' chiaro che la Camera non appoggia questo accordo, ma il voto di questa sera non ci dice niente su quello che appoggia», ha detto la May, mettendo il dito di una piaga di una classe politica che per ora non ha saputo proporre alternative credibili per conciliare la richiesta degli elettori di interrompere la libera circolazione dei cittadini europei con l'esigenza di non alterare l'equilibrio geopolitico irlandese, rischiando di spaccare l'unione su cui regge il Regno Unito.
«NON MI DIMETTO»
Immediatamente dopo il risultato del cosiddetto «voto significativo», arrivato in anticipo dopo il ritiro di tre dei quattro emendamenti annunciati e la sonora bocciatura dell'ultimo con 600 voti contro 24, la May ha detto di «ritenere che sia il mio dovere portare al risultato seguendo l'indicazione (degli elettori, ndr) e intendo farlo», smentendo qualunque intenzione di dimettersi nonostante l'entità della sconfitta.
Quello che sarebbe un passo inevitabile in qualunque circostanza non lo è in un momento così straordinario della storia britannica. Con tutti gli eterni aspiranti premier che aspettano che la matassa della Brexit venga sbrogliata per riprendere la loro corsa verso Downing Street, l'unica minaccia alla May viene dal leader dell'opposizione Jeremy Corbyn, che ha annunciato, come previsto, un voto di sfiducia nei confronti del governo. Si terrà questa sera alle 8, 9 ora italiana, e, almeno sulla carta, ha poche possibilità di passare, visto che gli spaccatissimi Tories, che a dicembre scorso hanno riconfermato la sua fiducia a una leader sotto costante attacco dai brexiteers, difficilmente vorrà rischiare di mettere il paese nelle mani di un laburista. Inoltre i nordirlandesi unionisti del DUP, sui cui voti la May conta per avere una maggioranza, hanno detto che, almeno questa volta, le saranno leali. La tabella di marcia è fitta, a 73 giorni dalla scadenza del 29 marzo non c'è tempo da perdere, e già lunedì prossimo la premier presenterà sotto forma di mozione il suo piano B, che dovrebbe somigliare moltissimo al suo piano A. Tra gli emendamenti, strumento grazie al quale i deputati stanno tentando di sondare il terreno per nuove soluzioni, ce ne dovrebbe essere uno che in ultima istanza, dopo tre settimane di tentativi da parte del governo, darebbe a una commissione parlamentare il compito di trovare una soluzione all'impasse. Westminster, a cui la May aveva cercato di togliere voce in capitolo in materia di Brexit, si sta prendendo la sua rivincita e anche ieri l'interventismo dello speaker John Bercow è tornato sotto i riflettori quando ha bocciato un emendamento che indicava a dicembre 2021 la scadenza per la clausola di salvaguardia per l'Irlanda.
PAESE SPACCATO
Intanto nel giardino antistante Westminster, i manifestanti delle varie fazioni danno il senso di un paese spaccato e confuso. Ieri, dentro il palazzo, il procuratore generale Geoffrey Cox tuonava contro i deputati: «A cosa state giocando? Cosa state facendo? Non siete bambini ai giardinetti, siete legislatori».
Cristina Marconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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