«Per il ghiacciaio finalmente c'è una buona stagione estiva»

Venerdì 17 Luglio 2020
«Per il ghiacciaio finalmente c'è una buona stagione estiva»
IN VETTA
ROCCA PIETORE Una, due, tre, cinque telefonate a vuoto. Poi Mauro risponde: «Sono nel permafrost a quota 3000 metri, in mezzo alla nebbia». Lui è Mauro Valt, ricercatore in forze ad Arpa Veneto, uno dei massimi esperti della salute del ghiacciaio. Risponde al telefono nonostante stia camminando sul tetto del Veneto, in una delle periodiche ispezioni a quello che chiama «il malato terminale». Quassù Arpa e Regione Veneto hanno una stazione di monitoraggio, sotto la cima Piz Boè a quota 2900. C'è un pozzo fondo trenta metri con i sensori che misurano la temperatura del permafrost permettendo un monitoraggio costante. «Lech Dlace - spiega Valt - il lago che si trova quassù è pieno di neve. Tutto coperto. Mentre le scorse estati si vedeva un bel laghetto alpino». Un segnale preciso, secondo gli esperti, che quella in corso è una buona stagione per il ghiacciaio. Ma nessuno si illuda. Per invertire la tendenza, spiegano gli esperti, di anni come questo ne servono almeno cinque o sei di fila.
ANDIAMO CON ORDINE
«Stiamo ancora elaborando i dati - spiega Valt - ma sicuramente il caldo del mese di aprile ha avuto la sua influenza sul permafrost, mentre le temperature fredde del mese di giugno hanno avuto un effetto diverso rispetto agli anni scorsi. Sembra che la situazione sia migliore rispetto agli anni scorsi. Bisogna però partire dal contesto generale: i ghiacciai delle Dolomiti sono tutti in ritiro. Negli anni 90 calcolavamo quanto si ritirava. Oggi i dati sono secondari, basta guardare per rendersi conto di quello che succede. Anche ricerche recenti sul volume ritiro tra il 2005 e il 2015 hanno confermato la riduzione di estensione e volume. Se il trend prosegue così nel giro di 30 anni la situazione sarà molto diversa quassù».
APPORTI NEVOSI
«Rispetto alla media, negli ultimi dieci anni - prosegue l'esperto - in quota nevica abbastanza nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Quindi la fase di alimentazione è buona. Negli ultimi 20 anni le temperature estive e primaverili sono però più calde rispetto a quelle degli anni 80 e questo accelera la fusione». In media negli ultimi dieci anni si sono quindi alternati inverni più o meno nevosi e la stessa alternanza provoca delle ripercussioni. «In questo inverno il ghiacciaio ha vissuto della neve di novembre. In alta quota ne ha fatti tre metri ed è rimasta fino a fine aprile. Tutta la neve arrivata dopo, invece, si è fusa ed è stata erosa dal vento. Non ha avuto grande ruolo». I dati Arpav rivelano che aprile è stato un mese molto caldo rispetto al passato, tanto che a occhio nudo era possibile vedere gli strati di neve di novembre. «Ad aprile - riprende Valt - una decina di giornate sono state così calde da essere classificate come eventi rari. Poi abbiamo avuto fresco a giugno, come non capitava dal 2000. Anche nel 2017 c'è stato qualcosa di simile ma non uguale. Questo ha rallentato la fase di fusione della neve su tutta la montagna. Quello che è importante per i ghiacciai delle Dolomiti è che ci sia una coperta bianca».
LA NEVE ROSSA
«Oggi vediamo che c'è ancora la neve dell'altra mattina - prosegue - il bianco copre lo strato di neve rossa. È rossa sia per la presenza di un'alga unicellulare che per la presenza di sabbia sahariana a seguito delle precipitazioni secche di aprile. E poi ci sono i pollini. A maggio c'è stata una forte impollinazione degli abeti rossi. Solo che la neve rossa facilita la fusione mentre quella bianca protegge al novanta per cento perché riflette i raggi del sole».
BUONA STAGIONE
«Adesso sono sta grandinando - taglia corto Valt - in conclusione posso dirle che la Marmolada è un malato terminale. Ma che oggi, 16 luglio, per questo malato è una buona giornata. L'esempio è drammatico ma possiamo dire che per il grande malato, quest'estate, c'è un po' di morfina».
Andrea Zambenedetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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