Pd pronto al governo di tutti «Hanno fallito, ora fase nuova»

Martedì 17 Aprile 2018
IL CENTROSINISTRA
ROMA La discesa dall'Aventino è pressoché conclusa, per il Pd. Basta che Salvini e Di Maio certifichino l'impossibilità di formare maggioranza e governo, ed ecco che per Martina e dem comincerà l'ascesa verso l'altro colle, quello politicamente più importante, il Quirinale. E' da lì che il Pd si attende la presa d'atto dell'aborto del governo dei vincitori, o presunti tali, per tornare in gioco e poter dire la propria. Matteo Renzi, prima di partire per Doha, lo ha spiegato ai suoi e anche agli altri: si devono cuocere nel loro brodo poi, quando si sarà visto che non riescono a concludere nulla, allora e solo allora il Pd può tornare in campo e fare la propria parte. «Ma dev'esserci l'impegno di tutti, non che poi qualcuno si sfila e da vincitore sbandierato si colloca nei comodi banchi dell'opposizione», precisano puntigliosamente al Nazareno.
E comunque, anche un governo di tutti tutti non è che nel Pd passi tranquillo e indolore, se è vero quel che ha detto l'altro giorno Ettore Rosato all'assemblea dei gruppi, quando ha ricordato che «i problemi per il centrosinistra sono cominciati con i governi tipo Monti», cioè esecutivi non espressione del volere elettorale. Dopo la descrizione sulla fase uno e sulla fase due fatta da Lorenzo Guerini nei giorni scorsi (la prima è il fallimento Di Maio-Salvini, la seconda è l'iniziativa del Colle), anche Piero Fassino ha voluto esprimere gli stessi concetti, visti dalla componente ex ds e non renziana doc del Pd: «Dopo 40 giorni, è necessario che M5S e Lega dicano che vogliono fare. O sono in grado di fare un governo, e allora lo facciano e noi saremo all'opposizione; o non sono in grado di fare alcunché, e allora si apre uno scenario del tutto nuovo determinato in primis dalle decisioni del capo dello Stato. Nel momento in cui si dovesse dare un mandato a una personalità, noi ci confronteremo con quella personalità».
LO STOP RADICALE A FICO
Qui si inseriscono i radicali italiani, che con il loro segretario Riccardo Magi avvertono: «Non si può dare l'incarico a un esponente come Fico, il presidente della Camera è in evidente conflitto di interessi con la Costituzione, visto che ha firmato quella norma della Casaleggio associati che prevede la multa di 100 mila euro in caso di dissenso, una norma anti costituzionale». Per Rosato, «Mattarella ha in mente un percorso e farà un passo visto che chi dice di aver vinto le elezioni passi non ne sta facendo». Ma non sarebbe il Pd se non facesse emergere divisioni interne. E' bastato che il ministro Carlo Calenda lanciasse l'idea di un esecutivo a tre M5S-Lega-Pd, con supporto di assemblea costituente per riformare le istituzioni, perché arrivasse un fuoco di sbarramento da parte renziana e limitrofi. Lotti, Parrini e altri hanno contestato i tempi della proposta, Orfini il genere letteraio («a Calenda vengono meglio i tweet che le interviste»), il ministro ha precisato, risentito, che lui aveva parlato di accordo con M5S e centrodestra non solo Lega, ma tant'è, al momento ai piani alti del Nazareno la proposta appare fuori tempo, «non si deve mettere il carro davanti ai buoi», precisa Parrini. E del resto, Calenda non è passibile di essere accusato di aperture indigeste, visto che è stato il primo a stoppare i conati dem possibilisti su M5S, «se lo facessero, la mia sarà la cancellazione da iscritto al Pd più veloce della storia», ebbe a dire a suo tempo.
Nino Bertoloni Meli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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