Pd, Minniti si candida Renzi diserta e pensa a un nuovo partito `

Domenica 18 Novembre 2018
IL CASO
ROMA Renzi? Assente. Guerini? Assente. Lotti? Assente. Minniti? Quasi assente, si è fatto vedere un quarto d'ora e se n'è andato. All'appello dell'ultima assemblea nazionale, all'hotel Ergife di Roma, quella che doveva decidere candidature e iter congressuale, le assenze erano vistose, pesanti, i silenzi assordanti, le presenze silenti. «Se qui a tanti viene a mancare il collante dell'antirenzismo si sentono persi, il mio amico Gentiloni, se non ha più il dàgli a Renzi, che ci sta a fare con Zingaretti?», la spiegazione di Bobo Giachetti, quello che in passato poteva dire le cose che il leader Renzi non poteva. «È chiaro, plasticamente chiaro, senza Matteo questo partito evapora, è evanescente», conclude Giachetti allargando le braccia, proprio mentre si avvicina Dario Franceschini che coglie al balzo la discussione e fa: «D'accordo, al momento sembriamo così, ma voglio ricordare che l'elettorato è altamente fluttuante e la Lega, data per morta non so quante volte, oggi risulta il primo partito, e ben vitale, direi».
Una tattica alla Nanni Moretti, quella di Renzi, secondo il famoso mi si nota di più se vengo o se manco? Proprio in questi giorni è maturata in lui la convinzione che il Pd attuale non è più un partito all'altezza del compito che si richiede in questa fase. «Un partito che non intercetta nulla delle proteste di piazza come Roma e Torino, anzi è di fatto assente invece che esserne punto di riferimento, che ci sta a fare? Senza buttare la croce addosso a nessuno, forse è il momento di chiederci che fare, se il contenitore attuale è quel che ci serve», ha confidato a più di un interlocutore Renzi. L'assenza all'assemblea dunque come manifestazione di lontananza da un qualcosa che non si ritiene più all'altezza, «e se non ci muoviamo noi, se il Pd non c'è, questa società civile, questa opposizione, si rivolgerà a qualcun altro in grado di farlo, i vuoti in politica non esistono», altra riflessione renziana.
SCISSIONE O NO
L'ex leader ha in mente una sorta di doppio binario, mezzo piede dentro il Pd (con parte dei suoi che gli chiedono di puntare ancora sulla carta Minniti) e i restanti arti fuori, più a contatto con elettori o ex tali che non con le correnti di partito. «Io non posso farvi da rete per il congresso, me ne starò fuori, voi occupatevi del partito, io penso alla società civile», la conclusione di Renzi. Un doppio binario che non prevede strappi né sussulti e men che meno separazioni; almeno fino alle Europee, questa dovrebbe essere la rotta, poi si vedrà. Certo è che se anche a maggio 2019 il Pd non dovesse schiodare dall'attuale 17-18%, meno della metà del trionfale 41%, allora ben altri scenari si aprirebbero, e un'operazione del tipo Asinello prodian-parisiano sarebbe molto probabilmente alle viste. Un Asinello renziano, distinto ma non distante dal Pd o di quel che ne resterebbe, pronto a intercettare consensi che un Pd a guida ex ds non riuscirebbe più a captare. «Mah, le scissioni non portano bene», ha subito messo le mani avanti uno scettico Matteo Orfini. Come che sia, al momento se non Renzi, certamente i renziani (quasi tutti) sono impegnati sulla candidatura di Minniti che viene ufficializzata oggi. L'appello rinforzato lo è stato talmente che 570 sindaci lo hanno sottoscritto per chiedere a Marco da Reggio Calabria di candidarsi. Rimane in forse la candidatura di Martina, alla quale guardano esponenti come Orfini, Cuperlo, Delrio, Serracchiani.
Zingaretti, l'unico in pista ormai da mesi, fa sapere che lui non è il candidato delle correnti interne, al punto che ha lanciato la proposta di abolire i 2 euro da versare alle primarie, «così i capicorrente non porteranno più le truppe cammellate».
Nino Bertoloni Meli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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