Paolo Balduzzi
Ancora una vota, le previsioni per la crescita economica nel 2020 ci certificano fanalino di coda tra i paesi europei, con uno scarso 0,3%, ben distanti dai paesi migliori (tra questi, l'Irlanda con il 3,6%), dalla media (1,4%) nonché da Francia e Germania, entrambe penultime ma comunque con previsioni di crescita oltre l'1%. E la prospettiva per il 2021 non è certo di gran lunga migliore (0,6%). Un paese o un popolo non possono essere giudicati esclusivamente sulla base di una variabile economica, naturalmente. Ma ciò non impedisce una qualche considerazione su come le risorse del paese stesso vengano impiegate e redistribuite. Crescita zero, gli ultimi della classe. Un legame molto evocativo e che non si limita ad essere solo un'immagine retorica: tra le origini infatti dell'infinita stagnazione italiana c'è sicuramente anche l'ormai pluridecennale responsabilità del legislatore di investire sempre di meno e sempre peggio nell'istruzione. Lo ha ricordato con grande efficacia Romano Prodi proprio ieri su questo giornale: la scuola deve essere una priorità per questo paese. E come facciamo a dire che invece non lo è? Innanzitutto, guardando alle cifre: l'Italia spende molto meno degli altri Paesi dell'Unione europea per istruzione, in particolare per quella terziaria. La spesa per istruzione in rapporto al Pil è infatti intorno al 3,8%, ben al di sotto della media Ue (4,8%).
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