«Nazionalizzare Bankitalia» Asse tra Meloni e i 5 stelle

Giovedì 21 Febbraio 2019
IL CASO
ROMA Sarà anche una «provocazione» dal sapore tutto politico, come sostengono in molti, magari un disegno di quelli «che non andranno mai in porto», come dicono i più tra gli osservatori degli affari dell'economia e della finanza. Ma è certo che il dossier della nazionalizzazione di Bankitalia, contenuto nella proposta di legge di FdI che ha iniziato ieri il suo iter a Montecitorio, ha ufficialmente aperto il nuovo fronte di attacco a Via Nazionale. Un nuovo fronte del governo dopo il tentato blitz contro il Direttorio? In questo caso, è difficile dirlo. Perché su questo capitolo così rovente si è cementato un asse politico del tutto inedito tra Fratelli d'Italia, principale sponsor del progetto, e i Cinquestelle di Luigi Di Maio. La commissione Finanze ha infatti incardinato un testo presentato già a inizio legislatura da Fratelli d'Italia e «la presidente Carlo Ruocco ha assegnato il ruolo di relatore a un'esponente del Movimento 5 Stelle», Francesca Anna Ruggiero. Il sospetto di una manovra a tenaglia con una maggioranza inedita è più che legittimo.
Il nodo della questione è il controllo del capitale di Bankitalia. Dopo il round di cessioni delle quote eccedenti le partecipazioni sono in mano a 124 soggetti tra banche, compagnie assicurative, fondazioni, enti e istituti di previdenza, con oltre 80 nuovi arrivati dopo la riforma Letta. Oggi restano cinque soggetti con quote sopra la soglia del 3% e i loro diritti, rigorosamente congelati equivalgono al 45% del capitale.
Dunque, l'azionariato è sì privato, ma molto diffuso, ben diversificato e, soprattutto, con limiti precisi fissati per legge. La proposta di legge Meloni in due articoli punta a rivoluzionare l'assetto proprietario di Via Nazionale, abrogando di fatto le norme del decreto legge 313 del 2013, con il trasferimento al Tesoro delle quote detenute da soggetti privati, cioè banche, assicurazioni, fondazioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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