M5S, asse tra Luigi e il presidente della Camera: il Jobs Act non è tutto da buttare e via i vitalizi

Venerdì 27 Aprile 2018
IL CASO
ROMA I più contenti che Luigi abbia detto una cosa di sinistra, «è ora di mettere mano al conflitto di interessi», sono gli ortodossi. La corrente dei duri e puri che faceva riferimento a Roberto Fico si prepara alla guerra di nervi col Pd. Non al dialogo, perché i derby tra Pd e M5S su chi è più a sinistra sono potenzialmente infiniti e tutti giocati sull'orgoglio e il pregiudizio.
I FORNI
Ma il forno con la Lega è chiuso, assicurano i vertici, e la trattativa con il Pd è avviata: c'è il via libera del presidente Fico che ha parlato di «esplorazione positiva». «Roberto e Luigi non sono mai stati così vicini», osserva un fedelissimo di Di Maio. «Con lui ho recuperato un'amicizia più bella di prima», dirà in assemblea Di Maio di Fico. I due antichi rivali giocano per la prima volta con la stessa maglia e d'altronde per aprire il forno Pd serviva una consulenza a sinistra e il movimentista Fico l'ha fornita. Sono sue le battaglie sulle concentrazioni di potere nelle telecomunicazioni che ieri si sono rivelate l'asso nella manica di Di Maio.
Il leader M5S ha affrontato la battaglia con lo spirito delle origini e quindi promettendo che se firmerà un accordo con il Pd non sarà un compromesso al ribasso ma un'intesa al rialzo (Di Maio ha rispolverato addirittura la pensione di cittadinanza). Cioè? Di Maio risponde così ai militanti e colleghi parlamentari che al tavolo col Pd non si siederebbero neanche morti: «Tranquilli, questo, se sarà, non sarà un governo in continuità con il passato». Frase chiave per capire che il M5S non si consegnerà al Pd, non accetterà di prendere lezioni e soprattutto non incamererà a occhi chiusi tutti i provvedimenti del governo uscente. Li rivedrà a modo suo: «Il Jobs Act? Non è mica tutto da buttare, ma si può correggere nei punti in cui è troppo facile licenziare», che non vuol dire ripristinare automaticamente l'articolo 18 ma riaprire la legge sì, magari ascoltando le indicazioni dell'ex presidente della commissione Lavoro che non è stato rieletto, il dem Cesare Damiano, come ha fatto notare Pasquale Tridico, candidato ministro del M5S col cuore a sinistra. Si lavorerà anche sui temi proposti da Martina: l'allargamento del reddito di inclusione contro la povertà, un assegno universale per le famiglie con figli, un salario minimo garantito associato al taglio dei costi fiscali sul lavoro.
Il forno Pd rappresenta oltre al proseguimento di un dialogo, coerente secondo i vertici M5S agli occhi di Mattarella, un altro obiettivo raggiunto. La possibilità per Luigi Di Maio di ottenere altro tempo prezioso: il 3 maggio. Quattro giorni dopo le elezioni in Friuli Venezia Giulia, appuntamento che nel calendario gialloverde apparentemente superato era ed è dirimente per capire cosa faranno la coalizione di centrodestra e il suo leader con cui il M5S ha eletto due presidenti delle Camere e tutti i relativi uffici di presidenza. E forse la senatrice Paola Nugnes, una ortodossa rimasta tale, ci vede fin troppa tattica e quando prende la parola in assemblea dopo Di Maio lo fa per contestare il modello di contratto politico proposto al Pd e alla Lega. Dice che è incostituzionale ma non è stato ancora né scritto né firmato.
GRUPPI COESI
Con la storia del conflitto di interessi, che non è stata approfondita in assemblea, Di Maio è andato a dormire sicuro che il gruppone di 338 parlamentari è ancora coeso e non dà segnali di cedimento che invece si erano visti in questi giorni. E che non si rinuncia alle battaglie storiche lo dimostra anche la partita sui vitalizi incardinata dall'ufficio di presidenza di Montecitorio che vede oltre al presidente Fico altri sei pentastellati eletti. L'istruttoria sui vitalizi infatti è pronta ed è meno ruvida della versione elettorale iniziale. Verranno soppressi infatti gli assegni ai condannati e ci sarà invece una ricognizione delle reversibilità.
Stefania Piras
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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