LUTTO NELLO SPORT
TREVISO Hi Fly ha smesso di volare. Il sorriso di Henry Williams

Giovedì 15 Marzo 2018
LUTTO NELLO SPORT TREVISO Hi Fly ha smesso di volare. Il sorriso di Henry Williams
LUTTO NELLO SPORT
TREVISO Hi Fly ha smesso di volare. Il sorriso di Henry Williams si è spento per sempre a 47 anni in una triste serata di fine inverno, gelando i tanti tifosi che grazie alle sue gesta sul parquet si erano appassionati alla pallacanestro. A fermarlo non un infortunio o un fallo ma un male. Subdolo, spietato.
LE TERAPIE
Una rara forma di disfunzione renale riscontratagli nel 2009 lo aveva obbligato a spendere tutto il suo denaro in costose cure e nell'acquisto di una macchina per la dialisi. Otto ore di terapia giornaliera, controlli mensili, appelli continui per la ricerca di un rene compatibile da trapiantare. Tutto inutile. Henry Williams per il basket italiano è stato un profeta. A Charlotte, in North Carolina, i giornali locali lo hanno definito il re dei canestri d'Italia. In effetti la carriera professionistica di Hi Fly (lo storico soprannome che ne sottolineava l'abitudine a giocate in acrobazia) si è svolta quasi interamente nel Belpaese.
LA CARRIERA
Nativo di Indianapolis, dopo il college a Charlotte non era riuscito ad entrare nel dorato mondo Nba. Troppo basso e gracile per giocare guardia, attitudine insufficiente alla regia: questi i giudizi degli scout delle franchigie che ignorarono il suo passato di realizzatore culminato con una chiamata in Nazionale al Mondiale 1990, ultima selezione di collegiali prima dell'era Dream Team. Al Draft 1992 la chiamata al secondo giro da parte dei San Antonio Spurs curiosamente subito dopo Sasha Danilovic, futuro grande rivale in Italia con la Virtus - spedisce Williams in Cba, a Wichita Falls, in una Lega da sempre considerata come un parcheggio di potenziali promesse in attesa della chiamata del destino. Il fato si materializza con le sembianze di Andrea Fadini, manager friulano della Scaligera Verona all'epoca in A2, che nel 1993 cerca un realizzatore a gettone per coprire l'infortunio di Corey Crowder. A suon di prestazioni clamorose (media punti di 24.3) Williams trascina Verona in A1 ottenendo la conferma anche per le due annate successive. In riva all'Adige Hi Fly diviene una sorta di leggenda dei canestri. Nulla può fermarne la furia agonistica e nell'estate 1995 Maurizio Gherardini decide di prelevare dalla rivale regionale sia il folletto americano che il cervello della squadra gialloblu, il play Davide Bonora, per farne i perni del nuovo corso Benetton. Treviso diventa la seconda casa di Williams, uno dei pochi statunitensi ad ambientarsi imparando la lingua. Il pubblico del Palaverde lo osanna nonostante il giocatore al di fuori del campo sia persona riservata e particolarmente religiosa la sua abitudine di leggere ed analizzare le Sacre Scritture gli fa ottenere il nomignolo di predicatore di Indianapolis.
GLI ANNI D'ORO
Nel capoluogo della Marca l'americano domina la scena per quattro stagioni. Nel 1996 il titolo di Mvp del campionato, poi l'accoppiata scudetto-Supercoppa. Nel 1998 la delusione per il mancato approdo alla finale di Eurolega determina anche una clamorosa eliminazione nei playoff per mano di Reggio Emilia. Nel 1999 arriva la Saporta, secondo trofeo europeo per la Benetton, ma anche l'incredibile sconfitta in finale scudetto contro Varese. Si volta pagina, a Treviso non c'è più spazio per Williams. La sua carriera però continua in Italia. A Roma prima, poi il ritorno a Verona: tutte e due esperienze non indimenticabili. Infine Napoli, riportata in A1 a suon di canestri. Nel 2002 lo stop definitivo, a 32 anni, nonostante le tante offerte da squadre europee. È una scelta di vita per Hi Fly. Tornare a casa per diventare un ministro del culto battista. La religione è anche l'ultimo conforto per l'ex giocatore che dopo alcune esperienze radiofoniche come commentatore Nba riceve la notizia della malattia. Nonostante la terribile diagnosi, Williams non si arrende. Acquista macchinari costosi, anche un cavo di 30 metri che gli consenta di muoversi mentre effettua le otto ore giornaliere di dialisi. Nove anni di trattamenti e l'impossibilità di ottenere un trapianto di rene però lo segnano. «No, non può finire così», ripeteva a chi gli chiedeva delle sue condizioni fisiche. Invece la malattia si è rivelata più forte di qualunque altro avversario.
Federico Bettuzzi
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