Le cure funzionano: ridotte fino al 70% le sostanze tossiche presenti nel sangue

Sabato 16 Dicembre 2017
Le cure funzionano: ridotte fino al 70% le sostanze tossiche presenti nel sangue
I RISULTATI
PADOVA Sono due pratiche comuni in medicina, testate, registrate e approvate in protocolli medici. Perfino, gioco del destino, anche da un decreto del ministero della Salute firmato dal ministro Barbara Lorenzin, che però in Parlamento le ha criticate e ieri ha mandato il Nas in Regione per sequestrare ogni documento, spingendo la Regione stessa a sospendere i trattamenti. Il nodo è, soprattutto, che per il Veneto funzionano (e bene) nella lotta ai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche che hanno inquinato la falda acquifera nel triangolo di province tra Vicenza, Padova e Verona e da lì sono finite nel sangue di circa centomila residenti della zona. Un problema che, stando a quanto trovato dalla Sanità della Regione Veneto, potrebbe essere risolto con una semplice plasmaferesi o uno scambio plasmatico. Perché chi si è sottoposto volontario alle cure ha avuto riduzioni fino al 70% della presenza di sostanze tossiche nel proprio sangue. Per una media che si attesta attorno al 31% di riduzione di sostanze tossiche. «Plasmaferesi e scambio plasmatico ha puntualizzato Domenico Mantoan, direttore generale della Sanità della Regione sono due pratiche che la medicina conosce e applica da tempo. La plasmaferesi oltretutto è un metodo riconosciuto e applicato a chi dona il sangue. Non capisco perché non possa essere usata anche nella cura ai Pfas».
SEI SEDUTE
Il procedimento medico è stato messo in campo dal Veneto a partire da settembre. La plasmaferesi consiste nella rimozione del plasma senza sostituirlo o reintegrarlo. È lo stesso procedimento, per intenderci, usato nelle donazioni, solo che di fronte ad un paziente con i Pfas, la parte del plasma che contiene albumina viene scartata. «Questo perché ha spiegato la dottoressa Alberta Alghisi, direttore di Medicina trasfusionale dell'Ulss 8 di Vicenza, dove sono state applicate una settantina di plasmaferesi a pazienti con un tasso di Pfas compreso tra i 100 e i 200 nanogrammi per millilitro di sangue è stato dimostrato che i Pfas legano chimicamente con l'albumina e quindi si può eliminare così in modo semplice. Il trattamento prevede sei sedute». Il tutto rispettando i limiti già imposti dalla legge e cioè il prelievo di non più di 12 litri di sangue all'anno con un intervallo di 14 giorni tra due sedute. Diverso il discorso legato allo scambio plasmatico, effettuato solo a Padova a 16 persone con una quantità di Pfas superiore a 200 nanogrammi per millilitro di sangue. Lo schema studiato dalla Regione prevede tre procedure di scambio, ognuna a distanza di una settimana dall'altra. «Con lo scambio plasmatico ha precisato la dottoressa Giustina De Silvestro, direttore del Dipartimento interaziendale di Medicina trasfusionale dell'Azienda ospedaliera di Padova c'è una rimozione dell'80% del plasma, che poi viene reintegrato con una soluzione fisiologica con albumina al 4%, in modo da poter creare nuovi legami in previsione del nuovo scambio». E la cosa sembra funzionare. Negli 86 pazienti che si sono sottoposti, chi alla plasmaferesi, chi allo scambio plasmatico, c'è stata una diminuzione di presenza di Pfas.
SENZA COMPLICAZIONI
«Senza grosse complicazioni ha aggiunto la dottoressa Francesca Russo, responsabile della direzione regionale della Prevenzione abbiamo avuto risultati soddisfacenti e confortati da basi e ampia letteratura scientifica. Dei settanta pazienti che si sono sottoposti alla plasmaferesi, dopo quattro cicli c'è stato una riduzione del 35 per cento. Un dato che sale al 70 per cento nello scambio plasmatico». La prova del nove arriverà con il richiamo a sei mesi dalla fine dei trattamenti. «Nella nostra indagine ha concluso poi Mantoan siamo partiti dai giovani: i Pfas si eliminano nel tempo e la nostra volontà è che i giovani veneti se ne liberino. Ora il ministero, che ci ha dato 2 milioni per gestire la situazione, ci dica perché non va bene: se è troppo costosa, ma ce la siamo pagata, o se è pericolosa e non si può usare, e allora va eliminata anche nei prelievi dei donatori. Perché l'Istituto superiore della Sanità non ce l'ha detto prima?».
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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