LA PROTESTA
CHIOGGIA «In un anno ho lavorato cinque mesi, sono stata controllata

Domenica 18 Aprile 2021
LA PROTESTA
CHIOGGIA «In un anno ho lavorato cinque mesi, sono stata controllata otto volte e ho preso tre multe, l'ultima stamattina». Le parole di Caterina Boscolo, che gestisce un ristorante e un B&B in città, sono state una sferzata per il pubblico (200-250 persone) che partecipava o assisteva alla manifestazione organizzata dall'associazione Esercenti e commercianti Chioggia. Non perché la situazione non sia altrettanto difficile per molti di coloro che erano presenti, ma per la disperazione che le poche frasi dette dalla ristoratrice lasciavano intuire. «Ormai ha aggiunto non ho più paura di nulla: oggi ho tenuto aperto. Stiamo morendo perché ci stanno facendo morire».
Era questo lo stato d'animo dominante nel gruppo, nato un anno fa, all'epoca del lockdown, che non si riconosce nelle associazioni di categoria e che critica tutti, dall'amministrazione locale al Governo centrale ma che, nonostante ciò, non cede a tentazioni estremiste o violente. Sei mesi fa, in una analoga manifestazione (peraltro non organizzata direttamente da loro) un corteo di ultras negazionisti gli aveva rubato la piazza e aveva incendiato Corso del popolo con i fumogeni, facendo passare in secondo piano le loro rimostranze. Ieri gli organizzatori hanno tenuto fuori qualsiasi estremismo, anche grazie alla presenza massiccia di forze dell'ordine, e in piazza c'erano famiglie con bambini che passeggiavano tranquillamente. E anche i toni dei discorsi, pur rabbiosi, angosciati e polemici, erano improntati al confronto: quasi a chiedere spiegazioni per le dinamiche sociali ed economiche che hanno sopraffatto la categoria. Non era, quindi, del tutto stonata la protesta che Felice Tiozzo, titolare della Taverna e leader dell'associazione organizzatrice, ha espresso, dai gradini del municipio, per i mancati risarcimenti dell'acqua alta di novembre 2019. Cosa c'entra con il Covid? Nulla, se non fosse per il fatto che i soldi che dovevano servire a quei risarcimenti sono stati dirottati proprio per l'emergenza Covid e serve un rifinanziamento del fondo di emergenza nazionale.
Ma quello che ha messo in ginocchio queste aziende è stata l'inadeguatezza dei cosiddetti ristori. «Da quando è iniziata la pandemia, un anno fa raccontano Gimmi e Denis Crosara, padre e figlio, dell'Ostaria la Forcola abbiamo ricevuto rimborsi per 10mila euro, neppure sufficienti a pagare l'affitto e le bollette». Sì, perché i costi fissi ci sono sempre, anche se stai chiuso. E poi «tre dipendenti in cassa integrazione a mezzo stipendio. Ed è da dicembre che non vediamo più un soldo». L'asporto non è bastato a compensare, nemmeno in minima parte, le perdite, anche perché «per fare l'asporto ci vogliono le attrezzature adatte, bisogna investire soldi che non hai» e la riapertura del 26 aprile non convince del tutto: «sarà solo all'aperto. E se fa brutto tempo? E chi non ha plateatico, come fa? Con queste regole si creano differenze anche tra di noi, ci mettono uno contro l'altro». Dubbi e tensioni che sono stati colti anche da qualche politico («abbiamo invitato tutti» ha detto Felice Tiozzo), come il consigliere comunale Domenico Zanni, lui bancario, ma la moglie è ristoratrice; dal consigliere regionale Raffaele Speranzon (FdI) che ha promesso emendamenti del suo partito al decreto sostegni: il consigliere regionale e comunale Marco Dolfin (Lega) che ha parlato «come cittadino» e non come politico per sostenere le riaperture e il suo collega Jonatan Montanariello (Pd) che ha negato l'esistenza di partiti delle aperture o delle chiusure, «tutti vogliamo riaprire al più presto, anche il 25 aprile e l'1 maggio, ma in sicurezza, non come ha fatto la Sardegna».
Diego Degan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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