La passione della sinistra per le scissioni (sbagliate)

Mercoledì 18 Settembre 2019
Luca Ricolfi

L'uno-due di Renzi, che prima ha imposto al Pd l'alleanza con i Cinque Stelle, e un istante dopo lo ha abbandonato al suo destino per farsi un partito tutto suo, non ha precedenti nella storia d'Italia. Come non ha precedenti, a dispetto della tradizione trasformistica dei parlamentari italiani, un simile capovolgimento. Fino a ieri i Cinque Stelle erano giustizialismo, assistenzialismo e decrescita infelice, oggi sono la salvezza dell'Italia contro la calata degli Hyksos.
Ieri ci si batteva per un sistema elettorale che permettesse, la sera delle elezioni, di sapere chi ha vinto, ora si dichiara di essere pronti a un ritorno al sistema proporzionale «se lo prevede l'accordo di governo».
Se il livello di spregiudicatezza raggiunto da Renzi (e non solo da lui nel Pd) è inedito, lo stesso non si può dire per il metodo. Anzi, forse è il caso di sottolineare la continuità fra il comportamento odierno di Renzi e la storia della sinistra italiana negli ultimi 100 anni. Se ci volgiamo all'indietro non possiamo non ricordare che la scissione, ovvero l'uscita dal partito principale per creare un nuovo partito, è sempre stato il modo in cui, a sinistra, si sono affrontate le divergenze politiche.
Il Partito Comunista è nato, il 21 gennaio del 1921, da una scissione guidata dall'ala sinistra del Partito Socialista, ansiosa di instaurare anche in Italia la dittatura del proletariato, seguendo le orme dei bolscevichi in Russia.
Dopo di allora di partiti socialisti e pseudo-socialisti se ne sono visti (...)
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