«La mia vita rovinata per sempre, per difendermi ho venduto tutto»

Sabato 4 Novembre 2017
«La mia vita rovinata per sempre, per difendermi ho venduto tutto»
IL RACCONTO
PADOVA L'incubo per il macellaio di Legnaro Walter Onichini è iniziato il 22 luglio di quattro anni fa e non è mai finito. «La mia vita è stata stravolta per sempre. Da tre anni ho cambiato casa e lavoro. Non abito più a Legnaro e nemmeno in provincia di Padova. Sono rimasto nel Veneto, ma la mia nuova città è top secret. Ho venduto tutto per pagare le spese legali, per difendermi».
Alla fine dell'udienza il trentasettenne è stato abbracciato e baciato da amici e parenti. Al suo fianco in aula c'era anche la moglie Sara Scolaro. Si sono accarezzati, guardati negli occhi e stretti in un lungo abbraccio. «Mia moglie da quella notte non riesce più a stare sola in casa. Chiudiamo sempre tutto, quando le tapparelle di balconi e finestre sono aperte per far passare aria e luce abbiamo paura. I complici di Ndreca sono ancora liberi e uno solo è stato identificato. Nonostante abbiamo cambiato provincia e abitazione il problema non è mai stato superato, psicologicamente siamo molto provati». Walter Onichini all'esterno del palazzo di Giustizia ha avuto la solidarietà di una cinquantina di indipendentisti veneti. «La loro vicinanza mi fa piacere, sono contento che siano stati sempre presenti alle udienze del mio processo».
Ma l'ormai ex macellaio di Legnaro, durante questi quattro anni, ha avuto il sostegno di uno come lui. Franco Birolo, il tabaccaio di Civè di Correzzola, assolto in Appello per avere sparato e ucciso un ladro entrato a rubare nel suo negozio nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 2012. «Con Franco mi sono sentito in più di una occasione. Lui ha passato quello che sto passando io oggi. Ci siamo scambiati alcuni consigli tecnici e ci siamo supportati a vicenda. Vivere in queste condizioni è molto difficile». Per la pubblica accusa quella notte del luglio di quattro anni fa Onichini aveva l'intenzione di uccidere, non si è trattato di legittima difesa. «Quella notte ho subito pensato alla mia famiglia e in particolare al bambino. All'epoca aveva venti mesi e aveva un problema alla valvola dello stomaco. Tutte le notti lo sentivo piangere, quella notte invece no. Ho pensato che i banditi lo avessero preso e ho agito sempre con il pensiero fisso che mio figlio fosse in pericolo. Questo mi ha mosso e non altro. Non volevo fare del male a nessuno, non volevo uccidere».
Poi il trentasettenne si è quasi appellato ai giudici del tribunale Collegiale. «Credo che per giudicare bisogna immedesimarsi nella persona che ha compiuto il fatto. Spero che i giudici si immedesimino in me. Da quella notte sono in stato di choc. Non mi sono più ripreso e nemmeno la mia famiglia». Il 2 ottobre in aula, sotto le pressanti domandi del pubblico ministero Emma Ferro, Walter Onichini ha dichiarato «Ho sparato due colpi, ma volevo solo impaurire. Non ho sparato con una pistola o con un fucile a cartucce, ma con pallini». Il 18 dicembre ci sarà la sentenza, un'attesa snervante per Onichini e la sua famiglia. «Attenderò con ansia come ho fatto tutte queste volte. La tensione non è mai mancata. Posso contare sempre sulla solidarietà di parenti e amici». E anche per giorno della sentenza gli indipendentisti veneti si schiereranno all'esterno del tribunale pronti a supportare con cori e striscioni il trentasettenne.
M.A.

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