La grande attività durante la guerra fredda, poi il degrado

Sabato 4 Novembre 2017
La grande attività durante la guerra fredda, poi il degrado
LA STORIA
ABANO Era da quel bunker che si governavano i cieli. Ed era lì sotto che lavoravano le teste d'uovo dell'aeronautica. Per gli abitanti di Abano, fra gli anni 60 e 70, in pieno clima da guerra fredda, chi lavorava al Venda era un privilegiato. In pochi sapevano che il pericolo non veniva dall'Est, ma si celava dentro quei cunicoli, dove operavano tecnici militari per più di 12 ore al giorno.
Dal 1958, sino alla chiusura avvenuta 20 anni dopo, sono stati oltre 600 i militari che si sono avvicendati nelle gallerie. Ma solo all'inizio degli anni 70 emergono, anche attraverso le prime proteste degli addetti, le difficili condizioni di vita.
«Non c'era sufficiente riciclo d'aria nella base - spiega Leone Grazzini, allora sottufficiale addetto alle manutenzioni elettriche - E chi vi lavorava era costretto ad aumentare spesso la velocità dei ventilatori per rendere le condizioni più vivibili. Nessuno dei superiori militari si rendeva conto dei rischi cui era esposto chi lavorava lì. Si lamentavano perché le porte sbattevano per la corrente d'aria». Sono gli americani i primi a percepire i pericoli annidati sotto il Venda. E sono i primi che se ne vanno. Quando il conto delle morti comincia a farsi consistente, e del caso Venda inizia ad occuparsi la Procura militare, la base viene chiusa. È il 1998. Del rischio radon tuttavia nessuno ancora ha esatta conoscenza. «Cominciammo ad averla - continua Grazzini - quando nel 2004, prima che la base fosse posta sotto sequestro, andammo in commissione a misurare le radiazioni. La base era già in disuso. Venne un tecnico della base di Brusegana a riaccendere le luci ed attivare i ventilatori. Ci accorgemmo che lo strumento che segnalava la consistenza del gas era impazzito. Anche quelli dell'Arpav presero paura». Ma non fu quello che destò maggior allarme fra i militari: «Il rischio radon - sottolinea Grazzini - era ancora più forte fuori del tunnel, all'interno delle casematte o nelle strutture come quelle del ponte radio, sopra il Venda. D'inverno, lì dentro l'aria non circolava. Ed è li che sono stati impiegati tanti nostri uomini sino al 2008».
Da quell'anno la vita della base si chiude definitivamente. È il periodo in cui l'inchiesta si trascina faticosamente. Il degrado si impossessa della base, quasi a voler cancellare con il suo manto di squallore anche i ricordi più drammatici. Gli unici che non si fermano sono i vandali ed i predoni che si introducono nel bunker, per razziare rame, quello che rimane degli impianti elettrici e le ultime suppellettili rimaste. L'ex base è entrata persino a far parte di un'associazione che va alla ricerca dei luoghi dell'abbandono, con il tunnel dei veleni che è diventato una sorta di monumento all'archeologia militare.
La storia della base continua a vivere invece nelle pubblicazioni. Leonardo Malatesta, storico vicentino, ha ricostruito con l'aiuto di molteplici fonti il ruolo strategico del 1. Roc del Monte Venda, ricoperto sino a quando le mutate necessità strategiche e i fantasmi del radon non l'hanno consegnanto stabilmente al degrado. «Eppure - confida Giovanni Amato, altro attivista dell'Unsi, anch'egli in servizio al Venda - ogni sera chiunque abiti da queste parti, volge uno sguardo lassù, dove brillavano le luci della base. In cerca di un ricordo e di una storia. Fra le tante che sembrano ora nascoste tra quei muri, fantasmi abbandonati».
L.P.

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