La Diocesi non apre la chiesa ai 50 migranti in fuga da Cona

Martedì 21 Novembre 2017
La Diocesi non apre la chiesa ai 50 migranti in fuga da Cona
LA PROTESTA
PIOVE DI SACCO «We are going», «Stiamo andando». É questo il ritornello della protesta.
Lo urlano ripetutamente 56 migranti, attraversando il confine tra la provincia di Venezia e quella di Padova, mentre marciano in mezzo alla strada per spostarsi dal centro d'accoglienza di Cona alla piazza di Piove di Sacco. «Stiamo andando» gridano lungo i quasi 20 chilometri di tragitto, ma la meta non la conoscono nemmeno loro. Hanno passato la scorsa notte nel corridoio dei bagni del patronato della parrocchia di Piove di Sacco, ma oggi probabilmente si rimetteranno in cammino. Verso dove? «Non importa - rispondono parlando in inglese - ma una cosa è certa: noi a Cona non ci torniamo».
Tanti punti interrogativi e un'unica grande convinzione, dunque: non voler rimettere mai più piede dentro il centro d'accoglienza da cui sono fuggiti. I motivi per cui protestano i migranti (per la maggior parte africani) sono tantissimi. Loro ne citano principalmente tre: il sovraffollamento della struttura, la mancanza di un riscaldamento adeguato e la carenza dei corsi di italiano per consentir loro di integrarsi e imparare la lingua.
TUTTI IN STRADA
La miccia covava da tempo, la protesta è esplosa negli ultimi giorni. Dal campo di Cona 241 migranti sono usciti la scorsa settimana (24 sono quelli rientrati alla base) e ieri 56 hanno deciso di seguire le stesse orme.
Alle 8.30 i migranti escono in massa dal centro di Conetta, si mettono in strada e camminano per pochi chilometri fino a Pegolotte, minuscola località del comune di Cona. Qui si fermano e appoggiano per terra borsoni e cartelloni («Stiamo morendo nel campo di Cona - recita uno di questi -. Governo italiano per favore aiutaci. Noi amiamo gli italiani». Poi, sistemati a lato strada, ricevono la visita di Sebastiano Cento, Vicario della Prefettura di Venezia. «Stiamo facendo il possibile, vi abbiamo promesso che da Cona ci sarebbero stati dei trasferimenti e stiamo mantenendo quelle promesse. Se abbandonate il centro per più di due giorni, perdete il diritto all'ospitalità nel nostro progetto di accoglienza» dice l'uomo per conto delle istituzioni. «Vi ringraziamo per essere qui - rispondono i migranti - ma non posiamo più credere alle vostre promesse. Noi non torniamo indietro. Noi andiamo avanti». We are going, appunto.
Alle 13.30 i ragazzi, quasi tutti di età compresa tra i 20 e i 30 anni, si rimettono in strada. Camminano per altri 15 chilometri (alla fine della giornata saranno quasi 20) e arrivano in centro a Piove di Sacco. Il loro è un percorso pericoloso, per se stessi e per gli automobilisti che devono quasi dribblarli. Sono scortati dai carabinieri, ma non basta. Arrivano pure dei simpatizzanti leghisti: seguono la marcia in auto e filmano tutto.
ACCAMPATI
Poco prima delle 17, quando sono alle porte del paese, i sindacati distribuiscono ai migranti delle pettorine catarifrangenti. Loro le indossano e continuano nella loro marcia, zaino in spalla e berretto in testa. Cala il buio e il freddo inizia a farsi sentire, ma qualcuno di loro porta addirittura le infradito. Arrivati a Piove si accampano in piazza Matteotti e accanto a loro, alle 18, c'è il sindaco di Piove Davide Gianella: «Questa situazione - spiega - ci è piovuta addosso. La Prefettura dice che non è affar nostro, ma noi siamo qui perché non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità». All'ora di cena inizia riunione-fiume con Don Luca Facco, responsabile della Caritas provinciale. Alla fine arriva il no della Diocesi all'apertura della chiesa, come era successo a Codevigo: vengono messi a disposizione dei profughi solo i servizi igienici del patronato.
LA NOTA DELLA DIOCESI
E in serata la Diocesi ha diffuso un comunicato per spiegare le sue ragioni. «Questa volta - è scritto nella nota - dopo lunghe ore di dialogo e trattative, siamo, nostro malgrado, costretti dalle circostanze e dal contesto a dire no e a non aprire le porte, anche perché a questo gruppo di giovani è comunque data la possibilità di tornare a dormire a Cona. In ogni caso si sta facendo il possibile per ristorarli al di fuori delle strutture parrocchiali e sono stati aperti i servizi igienici del patronato, ma non può passare l'idea che forzare la mano e porsi al di fuori delle regole sia la soluzione a un problema che ha contorni di complessità enormi e che chiede l'intervento delle istituzioni prima di tutto. È una scelta per noi dolorosissima, che abbiamo comunque condiviso con l'amministrazione comunale e che abbiamo fatto pensando anche alle altre centinaia di persone che sono nelle basi. Quanto sta accadendo in queste ore sottolinea anche l'inadeguatezza di queste modalità di protesta, che rischiano di amplificare i problemi e la situazione dei richiedenti asilo».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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