L'OPERAZIONE DEI NAS
PAESE Nel capannone laboratorio ci lavoravano, ci mangiavano,

Sabato 30 Maggio 2020
L'OPERAZIONE DEI NAS
PAESE Nel capannone laboratorio ci lavoravano, ci mangiavano, e ci dormivano pure, passandovi ore interminabili fino a non distinguere più il giorno dalla notte. Il lavoro, d'altronde, di certo non mancava visto che tra gli indumenti confezionati nello stabile, in zona industriale a Paese, c'erano anche camici protettivi e dispositivi di protezione individuale richiestissimi sul mercato nella fase 2 dell'emergenza coronavirus. Una situazione davvero al limite quella riscontrata dai carabinieri del Nas di Treviso durante il blitz effettuato nel laboratorio tessile gestito da un 36enne di origini cinesi, denunciato per impiego di manodopera clandestina e per una sfilza di violazioni sulle norme di sicurezza e salute sul lavoro. Due degli operai impiegati erano infatti privi di permesso di soggiorno e vivevano, assieme ad altri 6 connazionali, nello stesso impianto dove erano impiegati in cui gli ambienti di lavoro (con le vie di uscita completamente ostruite) si confondevano con quelli ad uso cucina e dormitorio (sporchi e con collegamenti elettrici raffazzonati).
IL BLITZ
Il controllo è scattato nei giorni scorsi, durante i quali i carabinieri del Nas hanno potenziato, in concomitanza con la riapertura di molte attività produttive a seguito del periodo emergenziale legato all'emergenza coronavirus, le ispezioni su tutto il territorio. I militari, entrati in azione assieme ai colleghi della compagnia di Montebelluna e al personale dell'Usl 2, si sono concentrati sulla ditta di abbigliamento del 36enne. Qualcosa non tornava. Al momento del blitz c'erano 8 persone che lavoravano ai banconi, ma dopo un primo controllo due di loro sono risultate non solo prive di contratto e quindi totalmente in nero, ma anche senza alcun permesso di soggiorno. Erano di fatto clandestini. Le condizioni igieniche, sottolineano in una nota i carabinieri del Nucleo Antisofisticazione e Salute di Treviso, erano pessime, con cibo e spazzatura posizionati a ridosso degli attrezzi da lavoro. Inoltre le vie di movimentazione e le uscite di sicurezza erano del tutto ostruite: fosse scoppiato un incendio, l'edificio si sarebbe trasformato in una trappola mortale.
LO SGOMBERO
Una parte dell'immobile, dove sono stati trovati tessuti e prodotti finiti, tra cui anche camici che sarebbero stati rivenduti come dispositivi di protezione individuale, era stata trasformata in zona abitativa: accanto alle macchine da cucire c'erano le stanze da letto (con materassi sistemati sopra semplici bancali di legno), la cucina (proprio a due passi dalla zona produttiva) e persino la lavanderia. Il tutto allestito «con modifiche arbitrarie dell'impianto elettrico (cavi interrotti, giunzioni posticce con nastro adesivo, spine collegate a prese multiple) - sottolinea in una nota il Nas di Treviso -, e la rimozione delle porte tagliafuoco, con rischio concreto per l'omissione delle misure di prevenzione incendi». Al termine del blitz, che ha portato alla denuncia dell'imprenditore cinese, i militari hanno comunicato l'esito del controllo al sindaco di Paese, che ha immediatamente emesso un'ordinanza urgente di sgombero dell'edificio per l'adeguamento sanitario e la messa in sicurezza. Resta da capire se i committenti che si erano affidati al 36enne sapessero delle condizioni in cui operava, anche se, al momento, sembra che lo stesso imprenditore operasse per conto di altri connazionali.
Alberto Beltrame
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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