L'INCHIESTA
MESTRE Il boss è un maniaco dei dettagli e del controllo. Perché

Venerdì 13 Luglio 2018
L'INCHIESTA
MESTRE Il boss è un maniaco dei dettagli e del controllo. Perché un'organizzazione così, per avere successo, non ammette sbavature. Kenneth Ken Ighodaro, 35 anni, il capo della mala nigeriana che gestiva lo spaccio di eroina gialla nella zona della stazione di Mestre, al momento è riuscito a sfuggire alla cattura. Ora si troverebbe in Francia, dalla compagna, dove si sarebbe trasferito qualche mese fa. Una fuga anticipata, per meglio dire, visto che il boss, a quanto risulta dalle intercettazioni telefoniche allegate all'ordinanza di custodia cautelare del gip di Venezia Marta Paccagnella, aveva mangiato la foglia da tempo. «Non so cosa stia succedendo in quella zona, qualcuno sta rovinando il nostro affare in città», aveva raccontato a uno dei suoi affiliati in una telefonata di gennaio. I primi arresti dell'operazione, evidentemente, l'avevano messo sul chi va là.
LE LEZIONI
La parola chiave di Ken è controllo. Sull'organizzazione e sul territorio. È lui a trattare direttamente con le organizzazioni criminali in Olanda, Francia e Spagna. Concorda gli acquisti, classifica la merce: cocaina e eroina di diverse qualità (Otto, Down o Sotto quella meno pregiata, Up o Sopra invece il top di gamma). Comunque, senza scendere sotto uno standard minimo: il principio attivo variava tra il 10 e il 72 per cento per la cocaina, tra l'8,2 e il 54 per cento per l'eroina. Poi, a portare in Italia la merce, ci pensavano gli ovulatori. I pusher di strada, Ken li formava personalmente. Una sua lezione dell'11 novembre 2017: «Non lavorare sempre, fate pausa spesso, cambiate look e non vestite troppo eleganti: attira sospetti». E non dimenticate di fare buona pubblicità al business: «Dite agli amici che si sta facendo soldi». Fondamentale, però, non farsi trovare impreparati di fronte ai clienti. Spiega il 12 novembre: «Impara a prenotare in tempo la roba, non aspettare che sia finita tutta la merce prima di fare la richiesta, visto che hai appena cominciato. Quest'affare non va bene quando i clienti ti chiamano e tu gli dici che non hai la roba». È sempre Ken a dire ai suoi cavalli di tenere le dosi in cellophane termosaldati in bocca, pronti a ingoiarli in caso di problemi. Escogita inoltre una fitta rete di vedette, fisse o dinamiche: nigeriani in bici o a bivaccare con qualche birra ai lati del quartiere, pronti a segnalare l'arrivo delle forze dell'ordine. Quando capisce che è in atto un'operazione più grossa del solito se ne va. «Comunque là ci sono i miei fratelli, continuiamo a lavorare insieme ma ci vorrà del tempo prima che io rientri in Italia».
PARCHEGGI
Il controllo di Ken, imponeva anche una ferrea gestione dell'area. I parcheggi della zona dovevano rimanere liberi per i clienti. Il 29 gennaio scorso, un gruppo di nigeriani si avvicina a un'auto che ha appena parcheggiato dalle parti di via Trento. «Ti serve droga? No? E allora devi andartene, questa è un'area parcheggio per i clienti che comprano». Non si può presidiare h24, ma viene fatto a capire a chi lascia la propria auto in quell'area che non è il caso di rifarlo. Le telecamere, infatti, hanno immortalato decine e decine di episodi in cui gruppi di nigeriani urinano e imbrattano le macchine posteggiate nel quadrilatero dello spaccio. Ma davvero servono i parcheggi per i tossicodipendenti? Certo, perché non dobbiamo pensare solo alla vendita dell'eroina. La cocaina, qui, è uno dei prodotti di punta e ad acquistarla ci sono soprattutto professionisti, impiegati, studenti. Dalla mattina alla sera, prima e dopo il lavoro. Il controllo del territorio, inoltre, non ammette dissenso. Il titolare del locale Al Falah di via Piave, infatti, a settembre ci aveva provato ad allontanare gli spacciatori. Risultato: i pusher l'avevano preso a pugni in testa, lo avevano morso e gli avevano mandato in frantumi la vetrata del negozio. E come testimoniano le immagini, anche queste aggressioni non erano episodi isolati.
IL COLONNELLO
Uno dei suoi colonnelli era Emmanuel Obaraye, 32 anni. Ex richiedente asilo della caserma Serena, a Treviso, dove aveva, nel dicembre del 2017, ricevuto anche la visita di un ovulatore, si era poi procurato insieme a un connazionale, Eric Irabor, 33 anni, un appartamento a Robegano (Venezia) quando gli affari avevano cominciato a girare decisamente bene. Spostando qui, di fatto, la sua centrale operativa di stoccaggio della droga. Obaraye era rimasto alcuni mesi nel centro di accoglienza di Dosson, dove aveva inoltrato la domanda di richiesta di asilo. Domanda, però, che era stata rigettata. Aveva fatto ricorso e in questo momento era in attesa dell'esito del contenzioso.
Davide Tamiello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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