L'ANALISI
ROMA C'è chi dice che la trattativa che si svolge in queste ore

Mercoledì 26 Settembre 2018
L'ANALISI
ROMA C'è chi dice che la trattativa che si svolge in queste ore a Palazzo dei Marescialli è la trasposizione plastica della attuale fase della sinistra italiana. Vero o falso che sia, è un fatto che il candidato eletto al Csm tra le fila del Pd, David Ermini, che, ieri sera, sembrava destinato a raccogliere i maggiori consensi per la poltrona di vicepresidente, potrebbe essere bloccato proprio dal no di Area (la componente che include Magistratura democratica e i Movimenti per la giustizia). Sono stati i quattro eletti della storica corrente di sinistra, nel tardo pomeriggio del penultimo giorno di trattativa, a chiedere di riaprire i giochi per valutare meglio i profili dei tre laici eletti dai Cinque stelle: Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati o Fulvio Gigliotti. I pentastellati hanno cambiato nome «favorito»: invece di Gigliotti, ad affrontare la votazione con nove voti di partenza (3 grillini più due di Davigo, forse i 4 di Area) potrebbe essere Benedetti, considerato più «tecnico» e non sgradito ai 2 leghisti.
I NUMERI
Lo stop al candidato del Pd da parte di Area per alcune ore ha fatto risalire le quotazioni anche di Alessio Lanzi, l'avvocato eletto da Forza Italia e particolarmente gradito a Magistratura e indipendenza che parte, dunque, da una base di nove voti (5 di Mi più 4 di destra). Per superare la votazione, però, dovrebbero andare a vuoto i primi due scrutini che esigono la maggioranza qualificata di due terzi. Ermini, dunque, potrebbe essere quello che convince di più: Unicost, corrente moderata, lo considera quello capace di riscuotere maggiori consensi, Mi non è contraria (lo storico leader, Cosimo Ferri è ora in parlamento proprio con i Dem) e, già così, i voti arrivano a dodici, se si aggiungono i membri di diritto: il primo presidente di Cassazione, Giovanni Mammone, di Mi e il primo procuratore generale, Riccardo Fuzio, di Unicost. A questa base che sfiora i 14 su 24 necessari per passare al primo colpo si potrebbe sommare il sì dei due laici di Forza Italia, che difficilmente vorranno far passare un candidato grillino, o l'assenso di Area che ha detto di voler soprattutto lavorare ad eleggere il candidato con il maggior consenso. Quello di evitare la conta all'ultimo voto è, in realtà, l'obiettivo comune dei quattordici togati eletti specie dopo il messaggio di ieri del presidente Sergio Mattarella.
IL QUIRINALE
Nel corso della cerimonia di insediamento del nuovo consiglio, il presidente ha ricordato che i componenti laici «sono eletti non perché rappresentanti di singoli gruppi politici (di maggioranza o di opposizione) bensì perché, dotati di specifiche particolari professionalità, il Parlamento ha affidato loro il compito di conferire al collegio un contributo che ne integri la sensibilità». A loro volta «i togati non possono e non devono assumere le decisioni secondo logiche di pura appartenenza». Tutte le componenti devono essere guidate dal «senso del servizio all'istituzione» e al Paese. La magistratura «non deve rispondere alle opinioni correnti» nè «orientare le decisioni giudiziarie secondo le pressioni mediatiche». Non deve farlo, così come non deve nemmeno «pensare di dover difendere pubblicamente le decisioni assunte», per una semplice ragione: perchè è autonoma e indipendente e dunque «soggetta soltanto alla legge», ha ripetuto il presidente.
Sara Menafra
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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