IL PROCESSO
PADOVA Ricorso inammissibile. Con queste parole scritte in uno scarno

Venerdì 22 Giugno 2018
IL PROCESSO
PADOVA Ricorso inammissibile. Con queste parole scritte in uno scarno dispositivo, la Corte di Cassazione ha respinto l'istanza della mamma e della sorella di Igor Ursu, moldavo di 22 anni ucciso durante un tentativo di rapina a Civé di Correzzola - un fazzoletto di terra tra Padova e Venezia -, e ha così messo fine per sempre alla vicenda giudiziaria di Franco Birolo, tabaccaio di Civè che quella notte tra il 25 e il 26 aprile 2012 aveva esploso il colpo mortale. Un calvario, quello di Birolo, durato sei anni passati tra un'inchiesta e una condanna per omicidio a due anni e otto mesi (oltre ad un maxi risarcimento di 325 mila euro) decisi in primo grado a Padova per arrivare al suo ribaltamento un anno dopo, con la corte d'Appello di Venezia che sposa la tesi sostenuta dalla pubblica accusa, tanto in primo quanto in secondo grado («quella notte Birolo ha sparato per difendere se stesso e la sua famiglia»), e assolve il tabaccaio.
Sentenza mai contestata dalla procura unica titolata a farlo dal punto di vista penale ma impugnata dalla parte civile (ovvero dai parenti del ladro ucciso) che aveva fatto ricorso in Cassazione per tentare di ottenere un ultimo risarcimento economico. Ma il blitz non ha sortito l'effetto sperato. Dopo una veloce discussione, la sentenza degli Ermellini è arrivata attorno alle 22 dell'altra sera. A comunicarla a Birolo è stato l'avvocato Luigino Martellato, che sempre ha sostenuto come il tabaccaio quella notte avesse agito per legittima difesa. Un punto di vista condiviso sia con il pubblico ministero padovano Benedetto Roberti, sia con il sostituto procuratore generale d'Appello Paolo Luca (ora procuratore capo a Belluno): entrambi infatti avevano chiesto al giudice che Birolo venisse assolto.
A stoppare il tentativo di richiesta di risarcimento della famiglia di Ursu sarebbero state un insieme di valutazioni, anche se le motivazioni dei Giudici Supremi si sapranno soltanto tra tre mesi. Il ragionamento presentato dalla difesa di Birolo, e che ha fatto breccia nei convincimenti della Cassazione, parte dalla ricostruzione di quella notte come descritta dallo stesso Birolo, che fin dai primi istanti aveva raccontato di aver sparato all'interno della tabaccheria soltanto quando si era visto saltare addosso, da dietro il bancone, un'ombra. Non un tentativo di farsi giustizia a priori quindi, ma la necessità di difendersi, sentendosi aggredito.
L'ASSALTO
Quella notte di sei anni fa infatti Birolo era stato svegliato nel cuore della notte dal rumore causato dalla rottura della vetrina della sua tabaccheria, al piano terra della propria abitazione sulla via principale di Civé. A mandare in frantumi la vetrina era stata una macchina utilizzata come ariete da una banda di quattro ladri dell'Est che avevano deciso di razziare il locale, arraffando stecche di sigarette e quanto si poteva trovare nel registratore di cassa. Spaventato, Birolo un passato tra i paracadutisti della Folgore aveva sceso la scala che collega il negozio all'abitazione, con in mano la sua pistola Glok calibro 9. Una volta entrato nella tabaccheria, Birolo aveva visto un'ombra balzargli sopra la testa. A quel punto aveva sparato: un solo colpo per colpire il ventenne moldavo, trovato senza vita sull'asfalto davanti alla chiesa di Civè, a trentuno metri dalla tabaccheria. In disperato e inutile tentativo di fuga dalla morte. L'incubo per Birolo era cominciato subito, per chiudersi l'ultima notte di primavera di sei anni dopo.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci