Il pm: «Donadio e soci una mafia tutta veneta»

Venerdì 17 Gennaio 2020
IL PROCESSO
VENEZIA Non solo Casalesi, ma una realtà capace di affermarsi nel territorio con le proprie forze, senza dover ricorrere alla casa-madre ma presentando nel territorio una potenza di fuoco tale da essere a tutti gli effetti sganciati dal clan di origine campana. I galloni e le stellette di malavitosi in proprio - e non semplici emissari di altri gruppi decisi a investire al nord - lo ha chiarito ieri in aula bunker a Mestre il pubblico ministero della Distrettuale Antimafia di Venezia, Roberto Terzo nell'aprire la requisitoria dell'udienza preliminare che si chiuderà oggi con la richiesta di rinvio a giudizio di 75 imputati, 37 dei quali accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso.
«FENOMENO AUTONOMO»
Descrivendo i tentacoli del clima di terrore messo in piedi da Luciano Donadio a Eraclea e nel Veneto orientale a colpi di estorsioni, minacce e pestaggi, l'accusa ha parlato della «creazione di un fenomeno mafioso autonomo» da parte del boss che si era presentato come membro dei Casalesi, «ma non ci interessa capire da quale famiglia venissero», ha continuato il pm descrivendo l'opera di Donadio, «boss riconoscibile e punto di riferimento» per il territorio. Una zona nella quale regnava l'omertà - ha aggiunto il rappresentante dell'accusa - prima degli arresti, trasformata in una leggera ammissione («ma sminuendo», ha precisato Terzo) dopo il blitz del 19 febbraio scorso quando la Guardia di Finanza e l'Antimafia di Venezia svelavano al Nordest come lì si fosse annidata una cosca mafiosa. Sganciata, per la procura, dal clan dei Casalesi, nonostante i primi affari siano stati chiusi con l'investimento di soldi arrivati dalla Campania. Che quello in via di celebrazione in aula bunker sia «un vero processo di mafia» l'ha ribadito il pm Federica Baccaglini - che assieme al collega Terzo regge l'accusa - spiegando come delle cinquanta parti offese, tutti imprenditori e cittadini vittime dei modi e dei traffici di Donadio e soci, solo uno - il trader di Portogruaro, Fabio Gaiatto (già condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione a Pordenone per una maxi truffa ai danni di decine di risparmiatori e vittima di una serie di estorsioni dal clan Donadio) - si sia costituito parte civile.
LA REQUISITORIA
Tra i vari passaggi sottolineati dai rappresentanti dell'accusa, uno è stato dedicato all'avvocato veneziano Annamaria Marin, ex legale di Donadio, e anche lei coinvolta nell'inchiesta che ha portato allo smembramento della cupola mafiosa del litorale veneto. Per il pm Baccaglini la sua posizione si sarebbe aggravata nel corso degli interrogatori in fase d'indagine, alcuni dei quali depositati anche ieri dai rappresentanti dell'accusa. Che oggi chiuderanno la propria posizione, prima di lasciare spazio alle parti civili già ammesse e poi, da settimana prossima, alle difese che avranno tempo fino al 5 febbraio per formalizzare le richieste di ammissioni ai riti alternativi come patteggiamenti (già due sono stati incardinati ieri) e giudizi in abbreviato: undici sono certi, una quindicina indecisi.
IL BOSS VERSO IL PROCESSO
Delineata invece la strategia difensiva del boss Luciano Donadio che con i suoi legali, gli avvocati Renato Alberini e Giovanni Gentilini, ha deciso di affrontare l'eventuale dibattimento, magari in videoconferenza dal carcere di Nuoro, richiesta respinta ieri dal giudice dell'udienza preliminare Andrea Battistuzzi, che non ha considerato necessario al momento un tale provvedimento. Processo immediato invece per l'ex sindaco di Eraclea, Mirco Mestre.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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