IL PERSONAGGIO
VENEZIA Il Veneziano dell'anno 2020 è il medico che prima

Domenica 29 Novembre 2020
IL PERSONAGGIO VENEZIA Il Veneziano dell'anno 2020 è il medico che prima
IL PERSONAGGIO
VENEZIA Il Veneziano dell'anno 2020 è il medico che prima di altri ha avuto l'intuizione che a Vò fosse arrivato il covid-19. Si tratta di Jacopo Monticelli, infettivologo trentaquattrenne che a metà febbraio era in servizio all'ospedale di Schiavonia, dove furono identificati i primi casi, quelli di Adriano Trevisan, 77 anni, e Renato Turetta, di 10 anni più giovane. Furono le prime di una lunga serie di vittime, presentavano i sintomi della polmonite ma risultavano negativi a tutto. Il dottor Monticelli ebbe l'idea di sottoporre a tampone i due anziani, che si rivelarono positivi al coronavirus. Questo permise di capire che l'infezione era già in Italia da tempo e diede il via alla reazione in Veneto, ma anche in Italia, visto che per diverso tempo il piccolo ospedale di Schiavonia era stato al centro delle dirette tv.
L'INTUIZIONE
Ebbene, questo giovane infettivologo è un veneziano di Castello che poi si è trasferito in terraferma. Da qualche tempo non lavora più nel Padovano, ma all'ospedale di Trieste, nel reparto Malattie infettive.
«Non avrei mai pensato di essere un veneziano dell'anno - commenta Monticelli - ma sono molto orgoglioso di questo riconoscimento. Spero di poter essere presente alla cerimonia, visto che il Friuli Venezia Giulia è al momento zona arancione».
Alla cerimonia, che si spera di poter organizzare a gennaio come al solito (pandemia permettendo) alle Sale Apollinee della Fenice, il dottor Monticelli rappresenterà simbolicamente anche tutto il personale medico e sanitario che da quasi un anno combatte contro il covid-19.
IL PREMIO
Questo lo spirito della decisione del Comitato promotore del premio, istituito nel 1978 dall'associazione Settemari, che infatti si è espresso con questa motivazione: Per avere intuito per primo la diffusione in Europa dell'infezione da Covid, intendendo questo riconoscimento esteso agli operatori della sanità tutti, prodigatisi in prima linea, spesso fino al martirio, per il soccorso ai malati e il contenimento dell'epidemia.
L'intuizione l'aveva avuta il 20 febbraio, all'ingresso in ospedale di un secondo paziente (Turetta) che aveva gli stessi sintomi del primo e di cui non si capiva nulla.
Parlando con lui, Monticelli scoprì che anche altri avventori dello stesso bar, la Locanda al Sole, lamentavano sintomi respiratori, febbre e tosse e quel locale di tanto in tanto era frequentato anche da cinesi. Fu così che decise di sottoporre al tampone entrambi, nonostante i protocolli lo prevedessero soltanto per chi aveva avuto contatti con zone infette della Cina. E fu un'intuizione vincente.
«Era stata una scommessa - ricorda ora - certezze non ne avevo ma a quel punto pensavo che forse si trattava di quello».
Ora non è più in Veneto.
A TRIESTE
«A Schiavonia avevo un incarico a tempo indeterminato - continua - ma come consulente infettivologo e lavoravo da solo. Qui a Trieste abbiamo un intero reparto e il 90 per cento del mio lavoro è ahimè, dedicato al coronavirus. Cos'è cambiato rispetto a febbraio? Allora - conclude, quando il cicalino del reparto lo chiama per una visita - eravamo pieni di domande, non eravamo neppure ancora certi della trasmissibilità tra uomo e uomo. Ora sappiamo tante cose in più, ma tante altre sono ancora oscure, come la terapia che non è ancora perfettamente definita. C'è ancora molto da lavorare».
L'anno scorso il riconoscimento andò ai giovani che avevano aiutato la città a risollevarsi con la loro opera di volontariato dopo il 12 novembre. Nel 2018 era stato assegnato ad Adriana Albini, per la straordinaria carriera scientifica nell'ambito della ricerca oncologica. Proprio qualche giorno fa era stata ritenuta dalla Bbc come l'unica italiana tra le donne più influenti al mondo.
Michele Fullin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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