I tre punti di forza e i rischi del decreto

Martedì 25 Settembre 2018
Carlo Nordio
Il cosiddetto decreto sicurezza è, come spesso è accaduto in passato, un mélange de tout che spazia dai settori dell'immigrazione a quello dell'inasprimento delle pene, all'implementazione dell'efficienza amministrativa fino alla prevenzione e al contrasto di mafia e terrorismo. È facile immaginare che le opposizioni sosterranno che, per tale eterogeneità di motivazioni e di propositi, il provvedimento non è né necessario né tantomeno urgente, e come tale non dovrebbe nemmeno superare il vaglio presidenziale.
È altrettanto facile rispondere che, soprattutto nell'ultimo decennio, sono stati promulgati e convertiti decreti addirittura con efficacia differita (come quello sulla rottamazione dei dirigenti settantenni) che, per definizione, tanto urgenti non erano. La realtà è che questi due requisiti sono oramai quasi presunti, e comunque affidati alla valutazione discrezionale del Governo. Se questa è diventata la consuetudine di produzione legislativa, è presumibile che almeno su questo punto il Quirinale non avrà nulla da eccepire.
Più problematico è invece il vaglio di costituzionalità dove le prerogative del Capo dello Stato sono più incisive, e dove alcuni hanno manifestato perplessità. Noi qui non intendiamo, per ragioni di spazio e di riverenza istituzionale, formulare giudizi di merito. Ci limitiamo a tre considerazioni di opportunità politica e di tecnica legislativa. Primo. È principio universalmente accettato da tutti gli stati democratici che la cittadinanza, ove non sia acquisita iure sanguinis o iure solioccorre meritarsela.
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