I colori, le lacrime, la musica «Il suo mondo senza confini»

Sabato 14 Luglio 2018
L'ADDIO
dal nostro inviato
TREVISO Una cascata di fiori candidi: sopra al feretro, ai piedi dell'altare, intorno al pulpito. Bianco dappertutto, tranne che su una corona di rose rosse, girasoli gialli e iris blu, quella firmata da Luciano, Giuliana e Gilberto, fino alla fine fratelli uniti nei colori al quarto di loro quattro. Così ieri Treviso ha detto addio a Carlo Benetton, l'ultimo a nascere e il primo a morire, in quello che «resta il mistero più grande della nostra vita», per citare le parole di don Adelino Bortoluzzi, il prete delle gioie e dei dolori della dinastia di Ponzano Veneto.
LA CERIMONIA
Dicono che all'imprenditore sarebbe piaciuta una cerimonia così. Semplice fin dal titolo del libretto delle letture, «Saluto a Carlo», che in quarta di copertina ha una foto di lui, ripreso da lontano e di spalle, mentre scruta l'orizzonte che si staglia al di là di un'infinita distesa di poderi. Nell'ingrandimento che sovrasta la bara, portata a braccia dai giocatori del Benetton Rugby, l'immagine è invece ambientata fra le amate montagne. Come nell'istantanea incorniciata accanto al registro delle firme, davanti al quale si mettono in coda sconosciuti e vip: industriali come Gianfranco Zoppas con i figli Matteo e Federico e la presidente trevigiana Maria Cristina Piovesana; il finanziere Enrico Marchi; i manager di ieri e di oggi Gianni Mion, Fabrizio Servente, Takashi Endo, Fabio Cerchiai, Carlo Bertazzo; il mondo della cultura con Domenico Luciani e Marco Tamaro della Fondazione Benetton e l'architetto Tobia Scarpa; i ristoratori di famiglia Celeste Tonon, Arturo Filippini e Giacomino Benvegnù; le vecchie glorie di quella che fu la Benetton Basket, fra cui Marcelo Nicola; il fotografo del gruppo Oliviero Toscani in stravaganti pantaloni vermiglio con annesso giubbino jeans.
LA FAMIGLIA
È invece impeccabile il ritratto di famiglia, affettuosa e allargata, immortalato sui primi banchi. Da una parte Giuliana con l'inconfondibile treccia scura, Gilberto senza cravatta e con la moglie Lalla, Luciano con l'iconica chioma e la compagna Laura, la vedova Cristina inconsolabile nel suo tailleur nero con doppio filo di perle chiare. Dall'altra i quattro figli e le loro madri: Massimo, Andrea e Christian, nati dal matrimonio con Franca, e Leone, frutto dell'unione con Mary Jo. Tutti insieme, con le loro consorti e i loro bambini e i loro cugini, fra cui Alessandro (senza Deborah Compagnoni e i ragazzi, «sono in America»), tanto che solo dietro c'è spazio per le fasce tricolori di Mario Conte, Monia Bianchin e Marco Serena, sindaci rispettivamente di Treviso, Ponzano e Villorba, triangolo di un'avventura imprenditoriale diventata un marchio globale.
L'OMELIA
Nell'omelia, don Adelino va dritto alla domanda: «Che senso ha lavorare tanto e poi morire? Ma Carlo non è morto, è solo passato ad una nuova forma di vita, impercettibile ai sensi, dove ora ha ritrovato Stefano, il figlio prematuramente scomparso che è stato per lui un dolore mai definitivamente chiuso. Malgrado ciò aveva un dono non comune: la capacità di cogliere il bello, il buono e il vero in tutto quello che incontrava. Come quando si sentiva chiedere: Ma sei pazzo? Cosa ci vedi in questi ruderi?. Carlo non rispondeva e dimostrava con i fatti la potenzialità positiva che doveva essere liberata. Per questo andava spesso in Argentina: voleva un mondo grande e senza confini. Non a caso è proprio lì che ha voluto costruire una chiesa, dedicata a sua mamma Rosa, come dono di speranza e di futuro». I suoi nove nipotini si avvicinano al microfono tenendosi per mano: «Sappiamo che continuerai a sorvegliarci come sempre», «Quanti splendidi ricordi delle passeggiate a cavallo», «Non ci hai mai fatto guardare indietro ma avanti», «Sei stato il nonno migliore del mondo». I rintocchi del campanile segnano ormai mezzogiorno, ma l'autobara non si muove dal sagrato. I baci, le lacrime, gli abbracci: i Benetton restano stretti attorno a Carlo, in un addio lungo e dolce come Hallelujah di Leonard Cohen, Gabriel's Oboe di Ennio Morricone e Signore delle cime di Bepi De Marzi, risuonati in duomo per lui.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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