GLI ALTRI
VENEZIA Tutti gli uomini del boss. I Casalesi del Veneto orientale,

Mercoledì 20 Febbraio 2019
GLI ALTRI
VENEZIA Tutti gli uomini del boss. I Casalesi del Veneto orientale, infatti, avevano ricostruito in Veneto il modello campano, allungando la propria ombra a tutte quelle istituzioni che potevano tornare utili al clan. Oltre al sindaco e quindi al Comune di Eraclea, quindi, anche, banchieri, forze di polizia, commercialisti, avvocati. Ma all'interno dell'associazione tutti avevano la loro importanza. Christian Sgnaolin, 45enne di San Donà, per esempio, era un fedelissimo di Luciano Donadio. Imprenditore sulla carta, ma di fatto prestanome del capo, con delega da vice in alcuni casi. Era lui ad assicurare la comunicazione tra gli associati, partecipando alle riunioni e mettendosi a disposizione dell'organizzazione. Il suo ruolo, in particolare, era occuparsi della gestione amministrativa e contabile della società soprattutto nel campo della frode fiscale. Le false fatture, insomma, passaggio fondamentale per incrementare il capitale del clan, erano cosa sua. Ruolo che un po' condivideva con Michela Basso, 30enne di San Donà. Secondo la procura, infatti, lei aveva avuto l'incarico dal clan della custodia di documenti, e della gestione amministrativa di alcune delle società. Predisponeva, inoltre, false scritturazioni e false fatture. Aveva un altro ruolo delicatissimo (evidentemente il clan, nonostante la giovane età, si fidava molto di lei): insieme al marito, infatti, teneva i rapporti con le cosche calabresi. Ma serviva anche un parere professionale per quanto riguarda le fatture. Per questo, era entrato in campo un commercialista, Angelo Primo di Corrado, 46enne di Torre di Mosto, che aveva contribuito, tra l'altro, a tutte le attività di assunzioni fittizie nelle società dell'associazione. Altro prestanome, invece, Giorgio di Giacomo, 67enne di Musile di Piave, che si era intestato le quote di due società per poi nascondere le proprietà dei beni dell'associazione mafiosa.
Altro uomo fidato del clan, di cui faceva parte fin dal 2001, Graziano Poles, 70enne imprenditore jesolano, che avrebbe tenuto i rapporti con l'amministrazione di Eraclea. In particolare con i funzionari e con l'ex sindaco (e attuale vicesindaco) Graziano Teso. Secondo la procura veneziana, l'associazione mafiosa, proprio tramite Poles, avrebbe finanziato parte della campagna elettorale di Teso.
TRUFFATO DA GAIATTO
Sempre per quanto riguarda gli imprenditori, invece, spicca il nome di Samuele Faè. Il 40enne di Caorle, infatti, era finito sotto i riflettori delle cronache solo due giorni fa, come uno dei truffati top del trader portogruarese Fabio Gaiatto. Faè, infatti, aveva perso ben 6 milioni investiti. «Quando ha capito che lo stava imbrogliando - spiega il suo legale - ha chiesto che gli fossero restituiti i soldi investiti. Ma c'era sempre una scusa per non far rientrare il capitale». Nemmeno due giorni di tempo e le manette sono arrivate per lui. Per la procura, infatti, avrebbe favorito l'organizzazione criminale fornendo informazioni sull'esistenza di indagini sugli associati, incaricandosi in più occasioni di procurare agli associati conti in Svizzera e nella città del Vaticano a cui versare denaro anche in valuta estera «oggetto di riciclaggio e attivandosi direttamente per costituire conti bancari di appoggio». In cambio di qualche tangente, sottoforma di bonifico, il clan poteva contare anche sull'appoggio di Moreno Pasqual, assistente capo della polizia di Stato al commissariato di Jesolo. In cambio di denaro, l'uomo forniva soffiate sulle indagini su Donadio e soci. Denis Poles, invece, direttore di banca alla Ambroveneta di Jesolo e della filiale di Musile, faceva un po' da consulente bancario per permettere agli affiliati al clan di poter svolgere le loro operazioni nel massimo della sicurezza. Suggeriva, inoltre, la predisposizione di bilanci e concedeva loro fidi bancari per anticipi sulle fatture.
Emiliano Pavan, avvocato di San Donà, chiude il cerchio: nel 2015 aveva convinto una coppia di imprenditori a non fare nessun rialzo su un terreno all'asta, che così se l'era aggiudicato lo stesso Di Corrado. C'era riuscito dicendo che Di Corrado era vicino a gruppi mafiosi che «potevano danneggiarli».
D.Tam.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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