Da Alessandria a Catania, le altre città che contanto sull'assist di palazzo Chigi

Martedì 23 Aprile 2019
IL FOCUS
ROMA Sono circa 400 i Comuni (o altri enti locali come le Province) grandi e piccoli che rischiano il fallimento per i conti disastrati. Il numero delle città con l'acqua alla gola in Italia è piuttosto ampio e, secondo dati vidimati nell'ottobre scorso dalla Corte dei Conti oltre a Catania e Alessandria, citati ieri dal ministro Matteo Salvini tra i Comuni da salvare dal dissesto (oltre a Roma), rischiano la bancarotta città metropolitane come Napoli insieme a tantissime altre, di piccole ma anche di medie dimensioni, come Caserta, Messina, Vibo Valentia o la provincia di Siracusa.
In tutto sono circa 400, secondo gli ultimi dati aggiornati, i Comuni che hanno dichiarato il dissesto o avviato le procedure di riequilibrio finanziario, secondo quanto previsto dal Testo unico degli enti locali.
Tra i comuni entrati nel capitolo allarmante del dissesto (che prevede una via di uscita di 5 anni) a fine settembre 2018 figuravano, tra gli altri, Terni, Potenza, Gioia Tauro, Milazzo e Cefalù.
Ma altre realtà, poco meno di 200, hanno invece avviato le procedure per il pre-dissesto - secondo le norme introdotte nel 2012 dal governo Monti per fermare un'emorragia di risorse, soprattutto nel Mezzogiorno - che prevede un piano di risanamento di 10 anni, prolungati a 20 con la manovra 2018 per tentare di salvare la situazione di Napoli.
In questo elenco oltre al capoluogo campano figurano, oltre la già citata Catania, anche Foggia, Cosenza, Reggio Calabria, Messina, Savona, Frosinone, Rieti e Pescara.
In ogni caso è bene ricordare che la stragrande maggioranza degli 8mila comuni italiani, almeno a stare ai dati della Corte dei Conti relativi al 2016, ha presentato bilanci in ordine. Ma una piccola percentuale di questi è riuscita ad accumulare un disavanzo pari a 2,6 miliardi di euro.
I DATI
A livello regionale il record per la presenza di comuni che hanno dichiarato il dissesto finanziario (ex articolo 246 del Tuel) o che invece hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale spetta alla Calabria, dove su un totale di 409 comuni secondo dati di un anno fa si registravano 41 dissesti e 54 riequilibri, per un totale quindi di 95 municipi.
A ruota la Sicilia con 86 comuni su 390, con 29 dissesti e 57 riequilibri, e la Campania con 44 realtà in dissesto e 32 in procedura di riequilibrio, su un totale di 551.
Secondo questi dati tra le Regioni esenti da municipi con difficoltà finanziarie figurano il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige, la Valle d'Aosta, il Veneto e la Sardegna.
Da questo punto di vista la Sicilia sembra la punta di diamante di un fenomeno molto profondo. Il Comune di Catania è in crisi finanziaria da un decennio ormai. Tra molti mal di pancia dei bossiani dell'epoca, nel 2008 il governo Berlusconi appena insediato salvò la città e la giunta di centro-destra guidata dal suo medico personale Umberto Scapagnini con un esvorso di ben 140 milioni di euro.
Quell'esborso evidentemente non è bastato nonostante il fatto che durante la successiva giunta di centro-sinistra guidata da Enzo Bianco la spesa per il personale sia scesa solo al 25% del totale, dalm 55% che aveva raggiunto anni prima.
Una delle verità che andrebbero meglio analizzate sta nel fatti che se è vero che ai Comuni siciliani le ultime manovre sono costate tagli per circa 184 milioni di euro sui circa 4 miliardi di entrate è altrettanto vero che gli stessi Comuni continuano a riscuotere poche tasse.
Secondo una relazione della Corte dei Conti in Sicilia il recupero dell'evasione per l'anno 2014 è stato di appena il 3% delle somme totali.
E così i municipi sicialini si stanno trasformando in stipendifici perché stanno smettendo di investire. Pagano quindi quasi solo stipendi, perché poi le spese per investimenti (strade, scuole, rifiuti, trasporti) sono diminuite. La spesa pro capite per investimenti è scesa del 19%: in media in Italia le spese pro capite per investimenti comunali sono pari a 156 euro, in Sicilia appena 80, la metà.
Diodato Pirone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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