Così l'ex cognato rassicurava la sorella del boss ormai solo e isolato

Mercoledì 18 Gennaio 2017
Così l'ex cognato rassicurava la sorella del boss ormai solo e isolato
(M.And.) Ho chiesto di incontrare i magistrati della Procura di Venezia perché voglio parlare del denaro che io ho guadagnato con i miei traffici illeciti e del suo successivo riciclaggio. Questo l'esordio del primo dei quattro interrogatori di Felice Maniero. Con lui c'è il suo difensore. E' il 12 marzo 2016. Ad ascoltarlo i pm Tonini e Zorzi. Parla Maniero. Di quei 33 miliardi di lire che ha dato all'ex cognato Riccardo Di Cicco, dal 1982 al 1994, in diverse tranche. A portarglieli sono Sandro Radetich - uno dei fondatori della banda del cui omicidio fu imputato e poi assolto lo stesso Maniero - il cugino Giulio Maniero, la madre Lucia Carrain, la sorella Noretta e Giuliano Materazzo, quest'ultimo, originario del Piovese, uno dei più fidati luogotenenti di Felicetto. Il patto con Di Cicco inizia con un prestito di 50 milioni di lire che il toscano gli chiede proprio nel 1982, quando Maniero è latitante in Spagna. È allora che Di Cicco gli propone di diventare il custode delle sue fortune. Il 1984 segna la data del primo arresto di Maniero e la permanenza in carcere per tre anni. E così cominciano le consegne: Ogni due-tre mesi, circa 300-500 milioni di lire alla volta, spiega Maniero. Il denaro veniva impacchettato nella villa della famiglia a Campolongo - ora di proprietà del Comune - ed era lo stesso Di Cicco che lo riceveva dalle mani della suocera e della moglie. In tutto, ricostruisce Maniero, 22 miliardi di lire. Nell'intervallo tra l'evasione dal carcere di Padova nel giugno del 94 alla cattura definitiva a Torino del novembre 94, lo stesso Maniero dà disposizione a Materazzo di recapitare a Di Cicco altri 11 miliardi. E siamo a 33. L'accordo non scritto era che Di Cicco doveva assicurare a Maniero i soldi ogni qual volta gli servissero: una sorta di bancomat sempre aperto alla bisogna. In dieci anni a Maniero sarebbero stati restituiti 6 miliardi. I prelievi si interrompono alla fine del 2015, quando Di Cicco fa orecchi da mercante: Improvvisamente mio cognato ha cominciato a dichiarare di non avere più la liquidità necessaria per le restituzioni che io gli chiedevo e alla fine ha rinunciato a vedermi. Nonostante i miei tentativi non sono più riuscito a contattarlo per avere indietro del denaro. Il pactum sceleris come lo definisce il gip Scaramuzza, è rotto. Maniero ha persino un crollo nervoso ed è ricoverato a fine 2015 all'ospedale di Verona: a visitarlo più volte Noretta insieme alla nuova compagna di Di Cicco, preoccupate dal fatto che Maniero aveva minacciato di denunciare tutti. E Noretta per tranquillizzare il fratello gli fa due bonifici per 7mila euro. Tutto inutile. Alcuni mesi dopo, come detto, Maniero a modo suo si prende la rivincita o meglio attua la vendetta. Scattano gli accertamenti investigativi, a condurli il Gruppo Antiriciclaggio del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma guidato dal colonnello Roberto Ribaudo. Carta canta. Dalle intercettazioni il quadretto di famiglia che esce non è per nulla edificante. Maniero convince madre e sorella a confermare le sue dichiarazioni. Ma all'iniziale assenso, Noretta - dopo essersi confidata con l'ex marito teme di restare al verde, non ha mai lavorato ed è abituata alla bella vita - oppone un fermo rifiuto. E scatena l'ira del fratello che il 28 marzo le scrive un sms di fuoco: Io non ho mai detto alla mamma di venire da me! Gli ho urlato al telefono per un solo motivo che ti ho scritto e ovviamente non hai capito. Se non dice la verità prenderà una dura condanna e dicevo a te! A te, imbecille, che morirebbe in galera, sola e ammalata!. E lei al cellulare con un'amica gli dà dell'infame. Il 24 marzo 2016 Noretta telefona all'ex marito che la rassicura : L'unico che mettono dentro è lui... è lui... che non fa altro che rompere i c. capito? Allora innanzi tutto non gli dire nulla alla tua mamma... poverina se non si caca addosso. Ieri l'epilogo. Riccardo Di Cicco viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Belluno. Il suo consulente finanziario di fiducia, Michele Brotini finisce invece in una cella del Santa Bona di Treviso. Schei e proprietà tutto sotto sequestro.
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