Condannata e scagionata, poi l'ergastolo Giallo giudiziario pieno di colpi di scena

Sabato 28 Aprile 2018
Condannata e scagionata, poi l'ergastolo Giallo giudiziario pieno di colpi di scena
LA VICENDA
MESTRE Sliding doors, 20 dicembre 2012. Le porte scorrevoli del destino di Monica Busetto si spalancano in un freddo pomeriggio prenatalizio su quel pianerottolo di una palazzina di via Vespucci. In quel momento cambia tutto: da operatrice socio sanitaria del Fatebenefratelli, zia amorevole e figlia di un panettiere veneziano, a principale (unico, per lunghi tratti della vicenda) indiziata dell'omicidio di Lida Taffi Pamio. Da quel giorno, la sua altalena giudiziaria non smette mai di dondolare: un quadro accusatorio granitico che ha inizia a scricchiolare, una complice a sorpresa, la scarcerazione prima e i processi poi con due condanne pesanti in primo grado e in appello e, infine, la sentenza della Cassazione che arriva come un ultimo spiraglio di luce per continuare a sperare.
L'INDAGINE E L'ARRESTO
Di sicuro c'è solo che qualcuno è morto, direbbe Tommaso Besozzi, il reporter dell'Europeo che indagò sul caso dell'uccisione del bandito Giuliano. Perché il delitto Taffi Pamio, per ora, a quasi sei anni di distanza trascina con sé più dubbi che verità. Gli investigatori della squadra mobile di Venezia e il pubblico ministero all'epoca titolare del caso, Federico Bressan, concentrarono fin da subito le loro attenzioni all'interno dei coinquilini della palazzina. Il fatto che non vi fossero tracce di sangue né impronte sulle scale o all'esterno del condominio mise gli inquirenti sulla strada dell'omicidio tra vicini. Un mese più tardi, il nome di Monica compare nel registro degli indagati. Unica sospettata per circa un anno: a fine gennaio del 2014, su ordinanza firmata dal gip Barbara Lancieri, viene arrestata. Le accuse a suo carico sembrano schiaccianti. Su tutte, spicca il Dna dell'anziana vittima su una catenina trovata in un portagioie a casa di Busetto. Per gli investigatori si tratta della proverbiale prova regina che chiude il caso. Ma ci sono anche altri elementi: una testimonianza del medico del Suem intervenuto sul posto, a cui Monica avrebbe detto in che stanza si trovava il corpo in casa (come poteva averlo visto se non era entrata nell'appartamento?), e le intercettazioni telefoniche, che dipingono l'operatrice come una maniaca dell'ordine e della pulizia, con un odio quasi viscerale nei confronti degli anziani e, in particolare, della signora Pamio.
LA DIFESA E IL PROCESSO
Gli avvocati di Monica, Alessandro Doglioni e Stefano Busetto (nipote dell'imputata), iniziano a preparare la difesa in vista del processo. Quella catenina (spezzata, per giunta, quindi per l'accusa venne strappata alla vittima) è l'ostacolo principale. I legali puntano sul fatto che l'esame abbia raggiunto l'esito positivo solo al terzo tentativo e per 3 picogrammi. «Una quantità infinitesimale - hanno ribadito in tutte le sedi gli avvocati - che potrebbe essere il frutto di una contaminazione avvenuta per il contatto con altri reperti». Una teoria che non convince i giudici: il processo, iniziato a giugno 2014, si chiude a dicembre dello stesso anno con una condanna a 24 anni.
IL COLPO DI SCENA
Il colpo di scena arriva il 31 dicembre del 2015, quando Susanna Milly Lazzarini viene arrestata per l'omicidio di un'altra anziana, questa volta in corso del Popolo, Francesca Vianello. La donna ammette il delitto, spiegando di aver ucciso l'anziana per poter comprare i regali di Natale ai propri figli. La dinamica e il periodo dell'anno riportano indietro nel tempo investigatori (e avvocati) nel più classico dei deja vu. Il 25 febbraio 2016, durante un interrogatorio fiume con le due pm, Alessia Tavarnesi e Lucia D'Alessandro, Milly cede e confessa di aver partecipato, tre anni prima, all'omicidio di Lida Taffi Pamio. Il legame? Francesca Vianello e Lida Taffi Pamio erano le amiche della madre di Lazzarini. Stando alla sua versione, voleva chiedere un prestito. Entrambe le volte un rifiuto, entrambe le volte un omicidio. Passano pochi giorni, e Monica Busetto il 30 marzo torna a casa dopo oltre due anni di carcere.
APPELLO ED ERGASTOLO
Monica riprende a vivere con una misura cautelare più blanda, un obbligo di dimora. Intanto si prepara il terreno per il processo di appello. Il verdetto sembra scontato, almeno negli ambienti del tribunale. La confessione di Lazzarini sembra aver aperto il campo a un'assoluzione in secondo grado per Busetto. La corte d'appello, presieduta dal giudice Gioacchino Termini, il 26 ottobre 2016, chiama a deporre Milly. La donna racconta di aver picchiato e accoltellato Lida Taffi Pamio ma che sarebbe stata Busetto a sferrare il fendente letale. La ricostruzione di quei momenti è ai limiti del surreale: Busetto sarebbe entrata nell'appartamento, avrebbe visto quella scena, con l'anziana ricoperta di sangue e la donna con il coltello in mano, e di fronte alla sua incapacità sarebbe subentrata per finire il lavoro. «Non sei nemmeno in grado di ucciderla, ti faccio vedere io come si fa». Le due donne, non si sarebbero più viste né sentite, come provano intercettazioni e tabulati. Salvo poi, stando al racconto di alcune compagne di cella, stringere un misterioso patto una volta ritrovatesi in carcere (accordo di cui, però, non vi sarebbero riscontri ufficiali). Il nuovo quadro accusatorio si ritorce contro la Busetto: il 18 novembre 2016 la Corte usa una mano ancor più pesante rispetto ai colleghi del primo grado: ergastolo.
Ieri, il verdetto della Cassazione, che riapre i giochi (e la ricerca della verità) per l'ennesima volta.
Davide Tamiello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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