Carlo Nordio
Diamo per conosciuti alcuni principi elementari: che la magistratura

Lunedì 23 Aprile 2018
Carlo Nordio
Diamo per conosciuti alcuni principi elementari: che la magistratura è indipendente e non vuol far politica con le sentenze; che queste ultime si possono criticare ma si devono rispettare; che per darne un giudizio compiuto occorre attendere il deposito della motivazione; che possono essere smentite o annullate dall'Appello o dalla Cassazione; e che comunque, prima della sentenza definitiva, vale per gli imputati la presunzione di innocenza. Ammoniti da questi salutari precetti proviamo a riflettere, con animo freddo e pacato, sulla decisione di Palermo, elencando alcuni punti di perplessità. Primo. Un processo che duri cinque anni è certamente un processo anomalo. E tanto più si attorciglia su se stesso fra tragedie, polemiche e contraddizioni, tanto più condiziona gli stessi giudici che lo stanno conducendo. Perché una cosa è decidere tra l'alba e il tramonto, come nel processo a Socrate, se l'imputato sia colpevole o innocente, altra cosa è trovarsi ingarbugliati in una matassa di eventi lontani nel tempo, incerti nella ricostruzione e ambigui nell'interpretazione. Nel dipanare per mesi e mesi questa matassa, il giudice riceve una tale serie di condizionamenti che possono risolversi in inconsci pregiudizi. In altre parole, se una Corte impiega cinque anni per arrivare a una decisione, è assai difficile che alla fine ci dica che i fatti non sussistono. O comunque a dirci che i fatti non sono provati al di là di ogni ragionevole dubbio.
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