«Basta trattare con le milizie libiche Roma rafforzi la sua presenza militare»

Mercoledì 17 Aprile 2019
La contrapposizione tra Italia e Francia sulla Libia è solo un futile esercizio oratorio, e le mire di Russia, Arabia Saudita e Qatar sono altrettante chiacchiere che fanno da sfondo alla sostanziale situazione di stallo che governa il paese arabo.
L'unico paese che ha una vera carta da giocare è l'Italia, secondo il politologo statunitense Ed Luttwak. A patto però che il nostro paese affronti la sfida alla quale è chiamato, e metta in campo le risorse necessarie per diventare il protagonista in grado di risolvere la crisi.
E Luttwak non ha dubbi che la soluzione militare sia l'unica in grado di risolvere l'impasse.
Haftar ha mandato suo figlio Belgacem a Roma per trattare la pace all'inizio del mese, ma nel frattempo l'altro fratello Saddam era a Parigi a concertare la guerra. Come fidarsi di questa famiglia?
«Non si può rincorrere di ora in ora l'ultimo dei gruppi ribelli che lancia azioni militari di breve respiro. La sfilata dei pickup che marciano su un'autostrada avrà anche un effetto mediatico immediato, ma alla lunga le truppe di Haftar non avranno la consistenza e la determinazione necessaria, né soprattutto la capacità operativa per rovesciare Al Serraj, né tantomeno per unificare il resto del paese. Trattare con loro è un'assoluta perdita di tempo».
Eppure gli europei stanno trattando, e la Francia ancora una volta sembra lavorare per battere l'Italia sul filo di lana.
«Non penso sinceramente che i governanti italiani debbano preoccuparsi della concorrenza francese. La loro defunta Erap spese miliardi per cercare di entrare in gioco con il petrolio iracheno al tempo di Saddam Hussein, e non riuscì ad estrarre un solo goccio di greggio. I francesi rincorrono da decenni il sogno di mettere le mani sui pozzi in un qualsiasi paese arabo tirando sgambetti a destra e a manca, ma i risultati sono sempre stati deludenti».
Qual è la linea strategica che l'Italia dovrebbe seguire a suo avviso?
«Ampliare la presenza militare per portarla alle dimensioni di altri interventi come quello in Afghanistan, ugualmente costoso ma molto meno redditizio dal punto di vista dei risultati. Ci sono già stati inserimenti di grande successo dei soldati italiani presso l'ospedale di Misurata, e a Tripoli, a sostegno dell'attività della guardia costiera. Basterebbe continuare a costruire su questa base. Finora la presenza italiana è stata molto apprezzata dai libici, e non ci sono stati attacchi contro le due compagnie dislocate. Questo vuol dire che la popolazione riconosce la vostra autorità, e che apprezzerebbe un vostro intervento in misura più decisa. Basterebbe un piccolo esercizio di forza per piegare alla ragione le bande tribali e le milizie improvvisate».
Sarebbe opportuno in questo senso un pronunciamento degli Usa.
«Non c'è da aspettarselo, e l'Italia non deve sentirsi obbligata a richiederlo. Quando gli Usa decidono di intervenire in modo concreto nel teatro di guerra di un paese straniero, lo fanno in un solo modo: boots on the ground, gli scarponi dei loro militari sul suolo del conflitto. In Libia non ci sono marines perché l'amministrazione Trump non ha nessuna intenzione di mandarceli, né di impicciarsi della situazione locale. In questo quadro, l'intervento deciso di un paese amico che possa risolvere la crisi umanitaria e politica sarebbe soltanto benvenuto».
Lo scacchiere è in realtà più complesso: il Qatar finanzia Serraj, l'Arabia saudita Haftar; poi ci sono i russi che contano sull'appoggio egiziano per entrare in ballo.
«Nessuna di queste presenze o dei soldi che riversano sul paese ha un vero effetto risolutivo. Vincerà alla fine il paese che saprà dimostrare la sua autorità con una presenza militare. E quel paese nella mia opinione dovrebbe essere l'Italia, a patto che chi la governa si renda conto della posta in gioco».
Flavio Pompetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci