VOLLEY, IL CASO
PORDENONE Storia chiusa, con il ritiro della citazione contro

Domenica 16 Maggio 2021
VOLLEY, IL CASO PORDENONE Storia chiusa, con il ritiro della citazione contro
VOLLEY, IL CASO
PORDENONE Storia chiusa, con il ritiro della citazione contro la giocatrice emiliana rimasta a suo tempo incinta e il versamento di un'ulteriore tranche di stipendio da parte del club. Come previsto, la fine del caso Lugli ieri ha avuto un'ampia eco mediatica. L'ex martello del Volley Pordenone di B2 si è dichiarata soddisfatta dall'epilogo della vicenda: «È una grande vittoria e un forte segnale per tutte le donne, non soltanto le atlete, che si trovano a dover affrontare queste situazioni assurde. Ringrazio tutti coloro che sono stati al mio fianco».
Niente sentenza, dunque (era prevista per martedì), e stop alle polemiche. Con un distinguo. «Abbiamo deciso di giungere a un accordo non perché ci sentissimo in difetto, ma perché la pressione mediatica abilmente orchestrata, e che raramente riportava con pari dignità le due versioni delle parti, si era fatta insostenibile e non ci permetteva più di vivere serenamente», commenta Franco Rossato, ai tempi (2019) presidente del sodalizio di B2. «Così - prosegue - abbiamo accolto la richiesta della Fipav: proseguire in uno scontro in cui la federazione non c'entrava avrebbe danneggiato in primis lo sport che amiamo, la pallavolo. È un accordo pro bono pacis, tuttavia è giusto precisare alcune cose. La giocatrice non è mai stata licenziata: una volta incinta non poteva più svolgere l'attività sportiva. Va precisato che il rapporto che la legava alla società non era di tipo lavorativo, ma dilettantistico. E finché non verranno emanate leggi apposite la situazione resterà sempre così». L'accordo prevedeva rimborsi spesa e premi legati a partite e allenamenti. «Per questo la società riteneva di averla già pagata regolarmente per l'opera prestata - incalza Rossato -. È dunque improprio sostenere che le abbiamo saldato gli arretrati. Il rapporto era regolato da una scrittura privata sottoscritta da club e atleta, curata dal suo agente. Va precisato che la clausola che prevedeva il recesso in caso di maternità non è stata inserita dalla società, bensì dalla giocatrice, tramite il suo procuratore. Noi non l'abbiamo citata in giudizio, chiedendo i danni, ma ci siamo opposti a un decreto ingiuntivo che ritenevamo ingiusto. Resta il fatto che non è mai stato chiesto a Lara un danno economico. Spiace constatare che anche da parte della politica ci siano state esternazioni, spesso prive delle più banali conoscenze, che facevano ricadere sulle società o sulle istituzioni sportive, il problema della legislazione nel settore». Molte le prese di posizione sul buon esito della vicenda che lodano la battaglia della giocatrice. Le più significative sono giunte da Assist e Aip, ma anche dall'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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