Un locale su tre ha gli occhi a mandorla

Giovedì 24 Maggio 2018
I NUMERI
PORDENONE Un esercizio pubblico su tre ha gli occhi a mandorla o comunque parla orientale. Anche la città sul Noncello, infatti, sta via via perdendo la sua identità, nonostante si continui a parlare di tipicità, di tradizioni, di nostrano, come l'unica ricetta per la promozione del turismo. Alla prova dei fatti, conti alla mano, però, si scopre che su trecento esercizi pubblici (bar, ristoranti, club, pizzerie e locali di intrattenimento) ben 96 sono gestiti da cinesi. Dall'elenco, messo a disposizione dell'Ufficio commercio del Comune mancano le gelaterie e anche i venditori di pizza al taglio o di cibi esotici tipo il kebab, perchè rientrano sotto l'ala dell'artigianato. E lo stesso vale anche per i centri estetici, i saloni da parrucchiere, i negozi per la ricostruzioni delle unghie e le sartorie, che dunque sfuggono al calcolo sulle presenze lungo il Noncello. I negozi che figurano negli elenchi del Comune sono invece soltanto dieci, ma non comprendono i grandi store lungo la Pontebbana.
Tornando ai pubblici esercizi, nella maggior parte dei casi si tratta di locali, che un tempo erano addirittura considerati storici, che sono passati di mano, mentre si possono contare sulle dita delle mani i nuovi insediamenti, in spazi rimasti liberi o di nuova costruzione e riguardano esclusivamente i ristoranti e, in particolare, quelli di sushi. Questi ultimi trascinati dall'onda gastronomica modaliola hanno ormai superato di gran lunga le dieci unità.
L'INVASIONE
«Se ci sono così tanti locali gestiti da cinesi vuol dire che i pordenonesi glieli hanno ceduti. Probabilmente - aggiunge Alberto Marchiori, presidente provinciale dell'Ascom Confcommercio - lo hanno fatto perchè non ce la facevano più a stare dietro a costi e concorrenza e gli stranieri erano pronti con i soldi, così come avviene in tutta Italia. Ma a me non interessa il colore della pelle o la forma degli occhi, non voglio alimentare discriminazioni sociali: se gli stranieri sono i regola e fanno le cose per bene io li voglio associare e voglio impegnarmi per farli crescere e aiutarli a integrarsi. Il problema che dobbiamo porci tutti, invece, è un altro: è se questi rispettano la legge, se osservano gli accordi sindacali sul lavoro, se conoscono la lingua e mantengono le tipicità nostrane. A mio avviso, e sono anni che lo ripeto, ma nessuno mi ha dato sinora ascolto, tranne Sergio Bolzonello che ha reso obbligatorio il test sulla lingua, se uno straniero vuole prendere in gestione un negozio di italiani, deve rispettare il territorio e le sue tipicità, vendere prodotti italiani e magari conoscere anche il dialetto. Dobbiamo assolutamente mantenere l'identità dei centri, soprattutto di quelli storici, perchè solo la tipicità attrae i turisti. E il turismo è la nostra forza».
LE RICHIESTE
Tutto questo e anche molto altro, Marchiori lo ha messo nero su bianco, nel documento Ricominciamo da... a firma di Confcommercio regionale destinato alla discussione in campagna elettroale. «In otto paginette - spiega Marchiori - avevamo chiesto, oltre al mantenimento della tipicità e alle regole per i negozi etnici, anche l'utilizzo dei fondi strutturali, iniziative per migliorare i trasporti e il risparmio energetico, la difesa della tipicità, la trasformazione dei Caf in centri di formazione e molto altro».
LE PROSPETTIVE
Una segnale di cambiamento è arrivato però dal nuovo Piano per il commercio dell'amministrazione Ciriani che è stato approvato ,'altra sera in consiglio comunale che ha come obiettivo primario la contingentazione dei pubblici esercizi, ovvero vietare le nuove aperture di bar e attività similari, costringendo gli aspiranti gestori a prendersi in carico un locale già attivo e a mettere i campo una ristrutturazione a hoc.
Antonella Santarelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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