Raid punitivo? Assolti 14 giostrai

Martedì 12 Dicembre 2017
Raid punitivo? Assolti 14 giostrai
IL CASO
PORDENONE Che cosa è successo la sera del 21 marzo 2012 a Sesto al Reghena? Una famiglia di giostrai fu davvero intimidita, minacciata e costretta a barricarsi in casa da una quindicina di persone nell'ambito di una faida familiare? La loro denuncia, molto dettagliata, ha portato davanti al giudice Giorgio Cozzarini 14 persone. Il processo, durato un anno, ha fatto però emergere dubbi, discrepanze e messo in discussione l'intera a ricostruzione dell'accusa. È con una sentenza di assoluzione che ieri la vicenda si è chiusa. Il reato di ingiurie è ormai depenalizzato, mentre per la violenza privata e il danneggiamtento di un'auto vi è stata un'assoluzione collettiva per insufficienza di prove.
Gli imputati erano Massimo Rossetto, 52 anni, di San Michele al Tagliamento, che figlio ed ex moglie avevano indicato come il mandante della presunta spedizione punitiva; Franco (61) e Majcol Taubmann (34) anche loro di San Michele; Adriano Benedini (56) di Pordenone; Luca (47) e Devis Rossetto (45) di San Michele; Saimon Rossetto (53) di Oderzo; Elvis (42), Daniel (25), Rosano (55), Romeo (53) e Giancarlo Benedini (49) di San Michele; Maveri Dalla Santa Casa (25) e Barbara Adorinni (50) di San Michele. Hanno sempre negato di aver minacciato i parenti. Se nella denuncia nomi, frasi minacciose e circostanze erano ben precise, davanti al giudice c'è chi ha cambiato versione o addirittura negato i fatti. La difesa - gli avvocati Roberto Pascolat, Sergio Gerin e Michele Fantino - ha parlato di testimoni non credibili: alla fine l'unica prova certa è stata l'ostilità tra i vari componenti del nucleo familiare, in particolare del figlio nei confronti del padre.
A presentare la denuncia era stato un trentaduenne di Sesto al Reghena che nel marzo 2012 aveva dato ospitalità alla madre separata. Aveva indicato come organizzatore del raid punitivo il padre Massimo Rossetto, sostenendo che voleva l'allontanamento dalla zona dell'ex moglie, che subito dopo la separazione si era rifugiata dal figlio. Lo accusarono di essere arrivato a Sesto al Reghena alle nove di sera assieme ad altre 13 persone. Disse che il gruppo aveva circondato la casa a bordo di sette auto, costringendolo a barricarsi in casa con la sua famiglia mentre fuori il gruppo gridava: «Siete morti, adesso vi ammazziamo tutti, preparatevi le tombe». «Vi ammazziamo, vi spariamo, vi aspettiamo fuori, dove vi troviamo vi uccidiamo». E ancora: «Vi ammazziamo, non passerete la notte, non venite dalle nostre parti, neanche a Portogruaro». Il raid - secondo le presunte vittime - sarebbe durato mezz'ora e la madre del trentunenne sarebbe stata aggredita mentre tentava di scappare in auto. Nella denuncia dissero che c'era stata una sassaiola contro la macchina, poi colpita con delle spranghe. Il gruppo si sarebbe allontanato soltanto quando comprese che stavano per arrivare i carabinieri.
«È stata una denuncia strumentale, come loro stessi hanno detto al processo», ha ricordato nella sua arringa l'avvocato Pascolat. Era stata persino indicata la presenza di un'auto che uno degli imputati in realtà aveva venduto alcuni mesi prima della presunta spedizione punitiva.
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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