«Presidente, pietà per mio marito Ha ucciso il figlio per disperazione»

Martedì 16 Gennaio 2018
IL CASO
FIUME VENETO Due parole: pietà e comprensione. È quanto Annalisa Morello chiede al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il marito Franco Antonio Dri, 77 anni fra due mesi, in carcere dal 14 ottobre scorso per l'omicidio del figlio Federico, tossicodipendente. La richiesta di grazia verrà spedita entro domani ed è l'unica strada percorribile dopo che il Tribunale di sorveglianza, pur dimostrando molta disponibilità, ha dovuto rigettare la richiesta di detenzione domiciliare. Il nostro ordinamento non concede questo beneficio in caso di reati ostativi come l'omicidio. Poco conta l'età del detenuto. E poco importa se ha problemi di cuore e soffre di artrite reumatoide: «Le terapie farmacologiche - secondo i medici che lo hanno visitato - possono essere somministrate anche in carcere». Dri in primo grado fu condannato a 8 anni di reclusione per omicidio aggravato dal vincolo di parentela, pena che scese a 6 anni 2 mesi e 20 giorni in Appello. Gli restano da scontare 5 anni, 2 mesi e 17 giorni, perchè un anno e mezzo lo ha già trascorso in misura cautelare.
Signora Morello, che cosa chiede al presidente Mattarella?
«Vorrei chiedere un po' di pietà e comprensione. Quello che è successo è stata una disgrazia. Federico era tossicodipendente e mio marito era esasperato. Non avrei mai immaginato che avrebbe fatto una cosa del genere. Da anni lottava per aiutare nostro figlio, gli voleva bene, ma sono stati 18 anni di disperazione. Quella sera non sapevamo che aveva la pistola, tutto è successo in un momento... Lui non sapeva che cosa fare, poi ha pensato che se si fosse ucciso mi avrebbe lasciata da sola con Federico, sarebbe stato troppo gravoso per me. Chiedo pietà perchè lo ha fatto anche per liberare il figlio, non c'era via di scampo. Adesso Federico è in pace».
Come avete affrontato il percorso giudiziario?
«Abbiamo avuto tanta solidarietà. Il parroco e tutto il paese ci sono stati vicini. Non avrei mai immaginato: anche a mio figlio volevano bene. Eravamo pronti a tutto, sapevamo che la pena poteva essere pesante, anche 21 anni. Però i magistrati e i carabinieri hanno capito quanta sofferenza c'era nella nostra famiglia, si sono presi a cuore il caso e sono stati comprensivi».
Come si trova in carcere suo marito?
«I primi giorni è stata dura, era a Pordenone, in condizioni difficili. Poi lo hanno trasferito a Treviso. Inizialmente era in difficoltà per le persone con cui era stato messo in cella. Alla prima visita l'ho trovato dimagrito perchè non mangiava e non dormiva. Poi lo hanno trasferito e adesso con i nuovi compagni va meglio. Non si lamenta, sono tutti comprensivi e gentili».
Come trascorre le giornate?
«Prende da mangiare allo spaccio, cucina, lava le sue cose e cammina. Cammina tanto in cortile durante l'ora d'aria. Sapeva che doveva andare in carcere, era pronto a tutto, non si è mai sottratto alla giustizia».
Va spesso a fargli visita?
«Sì. Lo vedrò il prossimo lunedì: avremo un'ora di tempo. Possono andare a trovarlo soltanto tre persone per volta. Anche gli amici possono fare domanda».
E lei come sta vivendo questo momento?
«Faccio finta di essere, tra virgolette, vedova. Prima di andare in carcere mio marito mi ha riempito la casa di roba da mangiare, per il resto mi arrangio da sola. Una disgrazia così... non è facile. Ho sofferto sì, ho sofferto tanto. Ho visto morire mio figlio, è stato uno choc enorme. Abbiamo sempre aiutato Federico, lui quando era disperato contava sulla famiglia. Mio marito gli voleva bene e Federico voleva più bene al padre che non a me, perchè magari io lo sgridavo, mentre il padre era sempre calmo... Quello che è successo è stata soltanto una disgrazia».
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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