Medici di base, fuga dalla montagna

Sabato 1 Febbraio 2020
LO STALLO
PORDENONE Il medico di medicina generale di Claut deve diventare una specie di alpinista su quattro ruote, e garantire l'assistenza anche a Cimolais (dove un anno fa ha lasciato il suo posto il professionista precedente) e ad Erto e Casso, vale a dire a un passo (montano) di distanza e diversi chilometri. Un giorno qua, un altro là, lasciando scoperte varie zone a seconda delle date. Il dottor Ahmed Sukkar è costretto a correre da Tramonti di Sopra ad Anduins, per poi raggiungere Travesio e infine tornare a Tramonti, stavolta di Sotto. Barcis e Andreis sono separati dalle gallerie, ma uniti dallo stesso medico di medicina generale. Altri viaggi, altri chilometri. Vincenzo Mussari infine va da Frisanco a Poffabro prima di scendere sino a Vajont, in pianura, e coprire così un territorio infinitamente più vasto rispetto ai colleghi che lavorano nelle cittadine.
È questa la situazione che si vive nella montagna pordenonese, e ultimamente non sono arrivate buone novità: non c'è alcun professionista, infatti, che desideri accettare un posto nelle zone disagiate. È un dato di fatto: zero adesioni e posti vacanti, per una condizione di emergenza che pesa soprattutto sulle persone più fragili: i malati e gli anziani che faticano a muoversi.
L'ALLARME
Guido Lucchini, presidente dell'Ordine dei medici di Pordenone, analizza prima di tutto le difficoltà che si incontrano quando si è costretti a lavorare nelle zone disagiate. «Dobbiamo pensare - spiega Lucchini - che i medici sono prima di tutto persone. Molti di loro hanno una famiglia, dei figli. Molto dipende dai pochi servizi che si trovano nelle aree disagiate: scuole, trasporti, beni di prima necessità. La vita è in generale più complicata in montagna.
C'è poi anche un aspetto maggiormente legato alla sfera della professione: i medici che lavorano nelle valli e nei paesi che chiamiamo disagiati, sono lontani da dove si svolgono ad esempio i corsi di formazione e le riunioni tra professionisti. Spostarsi diventa quindi complicato e anche costoso. Per lavorare in un territorio, è necessario il radicamento, ma in alcuni casi è difficile, e i medici di medicina generale mantengono comunque la libera scelta sul luogo di lavoro». Il problema, quindi, è legato in primis alla struttura della montagna e in secondo luogo alla logistica complicata. Il tema si inserisce in un'analisi più ampia delle difficoltà che si vivono nelle valli pordenonesi, ampiamente affrontate e documentate. Ma in questo caso è in gioco l'assistenza medica e la salute dei cittadini.
LE PROPOSTE
Lucchini non dà solo la diagbnosi, ma anche una delle possibili cure per evitare che i residenti delle valli rimangano completamente a secco per quanto riguarda l'assistenza sanitaria. «I Comuni - spiega - dovrebbero incentivare di più l'accoglienza dei singoli medici di base, magari concedendo a titolo gratuito gli spazi ambulatoriali in cui lavorare. Servono poi dei veri e propri incentivi in denaro, perché il lavoro del medico di medicina generale dev'essere sostenibile, considerando anche i costi di trasferimento che i professionisti devono affrontare se impegnati negli ambulatori delle valli, spesso distanti tra loro». Un sistema di incentivi che incontra le più recenti proposte di riforma a livello regionale. «Riccardi - ha concluso Lucchini dell'Ordine dei medici di Pordenone - sta andando nella giusta direzione: di un sistema di incentivi si era parlato anche con i nostri sindacati».
Marco Agrusti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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