LE MASCHERINE
PORDENONE In un mondo che si interroga sull'utilità di indossare le mascherine nei luoghi pubblici e nei supermercati, e con le alte sfere del mondo scientifico che non riescono a trovare un accordo sul tema, regge una certezza: i dispositivi di protezione sono fondamentali per chi lavora nel settore sanitario ed è costretto a rimanere otto ore e più a contatto con pazienti positivi al Coronavirus. E se mascherine, camici e occhiali dovessero mancare proprio a queste categorie, si rischierebbe di rimandare in tilt il sistema. E' questo l'allarme che arriva dalla Regione e che viene ripreso e amplificato dalle stanze della sanità provinciale: il nodo è a Roma, con la gestione commissariale dell'emergenza sempre più sotto pressione. «Sul nuovo invio del materiale di protezione per il sistema sanitario - ha detto Riccardo Riccardi, vicepresidente della Regione - non abbiamo avuto risposte da Roma». E il rischio più concreto andrebbe a toccare ancora una volta le realtà più fragili di questo momento: le case di riposo.
L'ALLARME
Si deve partire da un calcolo: in un turno di Pronto soccorso, ad esempio, ogni giorno vengono bruciate dalle 50 alle 100 mascherine, con il dato più basso che è riferito a San Vito e quello più alto a Pordenone. E questo solo in Pronto soccorso, mentre l'allarme partito dalla Regione riguarda anche i reparti di Terapia intensiva, dove il ricambio del materiale segue ritmi ancora più serrati. Ma come detto, l'anello debole è rappresentato dalle case di riposo, dove i dispositivi sono indispensabili vista la natura debole dell'utenza con la quale gli operatori hanno a che fare. Ebbene, il materiale inizia a scarseggiare e al momento manca la certezza di un approvvigionamento a breve. Pesa, ad esempio, la crescita della domanda di dispositivi che si registra negli Stati Uniti. E la catena di rifornimento rischia di incepparsi. L'altra categoria che rischia di rimanere a corto di maschere e camici è quella dei medici di base, che sarà nuovamente fondamentale quando la cura dei malati di Covid tornerà a diventare un affare domestico.
A PORDENONE
L'ospedale di Pordenone, e più in generale l'Azienda sanitaria del Friuli Occidentale, si è mossa in anticipo, ma è stata costretta ad agire in proprio. Dall'estero ecco infatti una partita da mezzo milione di dispositivi di protezione individuale ad uso esclusivo del personale sanitario. L'operazione è stata portata a termine anche grazie alla generosità di chi nelle ultime settimane ha donato (firmando o in maniera anonima) diverse somme all'ospedale cittadino. Ma se per quanto riguarda gli ospedali si è riusciti a tamponare la carenza di mascherine e camici, non lo stesso si può dire per le case di riposo, dove l'emergenza è ancora alta.
L'ATTACCO
E di case di riposo è tornato a parlare anche Riccardo Riccardi. Lo ha fatto diffondendo un breve video estratto dalla videoconferenza che si è tenuta martedì con i sindaci di Zoppola, Paluzza, San Giorgio di Nogaro, Pradamano e Mortegliano. Il vicepresidente regionale ha duramente attaccato alcune scelte fatte in passato: «Ci sono situazioni nelle quali le Aziende sanitarie sono state letteralmente costrette a intervenire per tamponare le emergenze. A qualcuno in passato non è bastato incassare il normale affitto di una palazzina: si è pensato bene di trasformare condomini in case di riposo, e questo non dovrà più ripetersi». L'accenno non riguarda però la Micoli-Toscano di Castions di Zoppola. Infine l'analisi del direttore generale dell'Azienda sanitaria del Friuli Occidentale, Joseph Polimeni: «In provincia abbiamo solamente una situazione d'emergenza su 17 case di riposo. Solo l'1,5 per cento dei posti letto è stato messo in difficoltà dalla diffusione del Coronavirus».
M.A.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA PORDENONE In un mondo che si interroga sull'utilità di indossare le mascherine nei luoghi pubblici e nei supermercati, e con le alte sfere del mondo scientifico che non riescono a trovare un accordo sul tema, regge una certezza: i dispositivi di protezione sono fondamentali per chi lavora nel settore sanitario ed è costretto a rimanere otto ore e più a contatto con pazienti positivi al Coronavirus. E se mascherine, camici e occhiali dovessero mancare proprio a queste categorie, si rischierebbe di rimandare in tilt il sistema. E' questo l'allarme che arriva dalla Regione e che viene ripreso e amplificato dalle stanze della sanità provinciale: il nodo è a Roma, con la gestione commissariale dell'emergenza sempre più sotto pressione. «Sul nuovo invio del materiale di protezione per il sistema sanitario - ha detto Riccardo Riccardi, vicepresidente della Regione - non abbiamo avuto risposte da Roma». E il rischio più concreto andrebbe a toccare ancora una volta le realtà più fragili di questo momento: le case di riposo.
L'ALLARME
Si deve partire da un calcolo: in un turno di Pronto soccorso, ad esempio, ogni giorno vengono bruciate dalle 50 alle 100 mascherine, con il dato più basso che è riferito a San Vito e quello più alto a Pordenone. E questo solo in Pronto soccorso, mentre l'allarme partito dalla Regione riguarda anche i reparti di Terapia intensiva, dove il ricambio del materiale segue ritmi ancora più serrati. Ma come detto, l'anello debole è rappresentato dalle case di riposo, dove i dispositivi sono indispensabili vista la natura debole dell'utenza con la quale gli operatori hanno a che fare. Ebbene, il materiale inizia a scarseggiare e al momento manca la certezza di un approvvigionamento a breve. Pesa, ad esempio, la crescita della domanda di dispositivi che si registra negli Stati Uniti. E la catena di rifornimento rischia di incepparsi. L'altra categoria che rischia di rimanere a corto di maschere e camici è quella dei medici di base, che sarà nuovamente fondamentale quando la cura dei malati di Covid tornerà a diventare un affare domestico.
A PORDENONE
L'ospedale di Pordenone, e più in generale l'Azienda sanitaria del Friuli Occidentale, si è mossa in anticipo, ma è stata costretta ad agire in proprio. Dall'estero ecco infatti una partita da mezzo milione di dispositivi di protezione individuale ad uso esclusivo del personale sanitario. L'operazione è stata portata a termine anche grazie alla generosità di chi nelle ultime settimane ha donato (firmando o in maniera anonima) diverse somme all'ospedale cittadino. Ma se per quanto riguarda gli ospedali si è riusciti a tamponare la carenza di mascherine e camici, non lo stesso si può dire per le case di riposo, dove l'emergenza è ancora alta.
L'ATTACCO
E di case di riposo è tornato a parlare anche Riccardo Riccardi. Lo ha fatto diffondendo un breve video estratto dalla videoconferenza che si è tenuta martedì con i sindaci di Zoppola, Paluzza, San Giorgio di Nogaro, Pradamano e Mortegliano. Il vicepresidente regionale ha duramente attaccato alcune scelte fatte in passato: «Ci sono situazioni nelle quali le Aziende sanitarie sono state letteralmente costrette a intervenire per tamponare le emergenze. A qualcuno in passato non è bastato incassare il normale affitto di una palazzina: si è pensato bene di trasformare condomini in case di riposo, e questo non dovrà più ripetersi». L'accenno non riguarda però la Micoli-Toscano di Castions di Zoppola. Infine l'analisi del direttore generale dell'Azienda sanitaria del Friuli Occidentale, Joseph Polimeni: «In provincia abbiamo solamente una situazione d'emergenza su 17 case di riposo. Solo l'1,5 per cento dei posti letto è stato messo in difficoltà dalla diffusione del Coronavirus».
M.A.
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