L'UDIENZA
TRIESTE Una «galleria degli inganni», che una volta imboccata

Sabato 19 Gennaio 2019
L'UDIENZA
TRIESTE Una «galleria degli inganni», che una volta imboccata avrebbe portato la Corte d'assise di Udine ha condannare l'ex caporal maggiore Giosuè Ruotolo all'ergastolo, con due anni di isolamento diurno, per l'uccisione del commilitone Trifone Ragone e di Teresa Costanza avvenuta il 17 marzo 2015 nel parcheggio del palasport di Pordenone. È così che l'avvocato Giuseppe Esposito ha definito la verità processuale emersa in primo grado. Ieri nel processo d'appello che si sta celebrando a Trieste, durante una discussione durata quasi sei ore, in quella «galleria» ci ha infilato indizi privi di univocità, false testimonianze, interpretazioni tese a dimostrare la colpevolezza dell'imputato e carte processuali che avrebbero subìto una «contaminazione mediatica». «Non c'è giustizia in una condanna senza colpa», ha concluso chiedendo alla Corte di restituire a Giosuè «l'innocenza che gli è stata espropriata».
I COINQUILINI
Esposito - e così pure il collega Roberto Rigoni Stern - ritiene che le loro «menzogne» abbiano condizionato le indagini. Ha accusato Sergio Romano e Daniele Renna, all'epoca commilitoni e coinquilini di Ruotolo, di essersi inventati la lite tra Ragone e Ruotolo nel parcheggio del palasport. È in quel confronto, collocato tra il 17 e 28 novembre 2014, che la Procura fa affondare le radici del movente: i fidanzati sarebbero stati uccisi per impedire che denunciassero le molestie subite da Teresa attraverso i messaggi inviati dalla caserma di Cordenons con il profilo Facebook Anonimo Anonimo. Una denuncia avrebbe compromesso la carriera di Ruotolo nella Guardia di finanza. Per la difesa la lite è stata inventata in una «folgorazione» datata 15 gennaio 2016, quando i due vengono nuovamente sentiti da Carabinieri e riferiscono per la prima volta che Ragone stava indagando su chi poteva aver inviato i messaggi, che aveva individuato Ruotolo e gli aveva dato una lezione. «Siamo convinti - ha detto Esposito - che si fossero preparati una versione e l'avessero tenuta pronta nel caso le cose si fossero messe male per loro. La lite non esiste, lo dimostra una foto di Giosuè del 28 novembre 2014 e dove non si vede alcun segno sul labbro. Quei messaggi spregevoli a Teresa - ha aggiunto riferendosi a tutti e tre i coinquilini di via Colombo - hanno tre mandanti e un esecutore».
I SUPER TESTIMONI
«Ci sono sette persone che ruotano attorno alla scena del delitto e nessuno vede l'esecutore materiale. Non è mai emersa la prova diretta che a uccidere sia stato Ruotolo. Lui quella sera lasciò il parcheggio prima che fossero esplosi i colpi», ha specificato Rigoni Stern. È la testimonianza di Stefano Protani che la difesa ha cercato di demolire. È lui, il pesista uscito dalla palestra assieme ai fidanzati, che parla di una Audi A3 Sportback posizionata dietro l'auto dei fidanzati con a bordo una donna, forse con i capelli a caschetto. Sono dichiarazioni che poi aggiusterà: «Ho detto che era una donna per il modo in cui teneva le mani sul volante». La difesa ha cercato di spostare l'attenzione sulla sua condotta dopo il delitto e ha messo in dubbio le sue dichiarazioni. «Ruotolo è stato condannato - è stato detto - perché c'è un'Audi A3 grigia che viene vista solo dopo delitto da un testimone che si chiama Protani. Nessun altro vede questa macchina fuori dagli stalli, perchè Ruotolo se n'era andato prima degli spari. È un dato comprovato anche dalla nostra consulenza tecnica».
PROVE BIOLOGICHE
Rigoni Stern ha concluso concentrandosi sull'assenza di prove biologiche riconducibili al delitto all'interno dell'Audi A3 di Ruotolo, negli indumenti, in orologi e braccialetti del giovane (sequestri avvenuti sei mesi dopo il delitto). «Chi ha sparato - ha insistito - era irrorato di sangue, è impensabile che non abbia sporcato l'auto. Nel Dna misto trovato su un bossolo non c'era il profilo genetico di Giosuè, nè può essere ricondotta a Giosuè l'impronta su un bossolo». Si torna in aula l'8 febbraio per le repliche del procuratore generale e delle parti civili.
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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