L'ARMA IN PIÙ
PORDENONE Le dosi a disposizione del Friuli Venezia Giulia

Mercoledì 21 Aprile 2021
L'ARMA IN PIÙ
PORDENONE Le dosi a disposizione del Friuli Venezia Giulia sono ancora limitate: 1.500, per la precisione, dal momento che l'uso è ancora definito sperimentale. L'applicazione del dispositivo sul campo è condizionata anche alla tempestività dei medici di base, che devono individuare rapidamente i pazienti più a rischio. Ma il farmaco offre una speranza e i numeri la confortano. Gli anticorpi monoclonali funzionano e tra le province di Udine e Pordenone hanno già contribuito ad evitare il ricovero in ospedale di pazienti estremamente fragili e contagiati dal Coronavirus.
LE TESTIMONIANZE
L'uso delle nuove armi contro il Covid è affidato al controllo degli infettivologi Massimo Crapis (per Pordenone) e Carlo Tascini (per Udine). Sono loro ad aver diffuso i protocolli operativi ai medici di base. Sempre loro hanno in mano i primi risultati clinici di un farmaco che promette - in futuro - di affiancarsi ai vaccini nella lotta all'ospedalizzazione del Covid, principale nodo di tutta la pandemia. Si parte da Pordenone, dove i numeri sono ancora molto bassi ma i risultati eccellenti. «Abbiamo utilizzato gli anticorpi monoclonali su sei pazienti - ha spiegato Massimo Crapis, primario di Malattie infettive del Santa Maria degli Angeli -. Nessuno di loro ha avuto bisogno del ricovero in ospedale dopo il trattamento». La somministrazione ormai avviene a domicilio, grazie all'impegno delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale. «I numeri sono ancora bassi per generare una statistica, ma io sono molto ottimista. Il farmaco ci aiuterà ad evitare i ricoveri e le chiusure», prosegue sempre Crapis. Si trattava di sei pazienti ad alto rischio - la prima è stata una donna con problemi di peso -, tutti guariti anche grazie all'uso degli anticorpi monoclonali. In provincia di Udine la sperimentazione è più avanti. I pazienti trattati con i monoclonali sono una sessantina. «Il tasso di ricovero - spiega l'infettivologo Tascini - si aggira attorno al 12 per cento, ma c'è una spiegazione. In alcuni casi, infatti, abbiamo somministrato il farmaco in uso compassionevole anche dopo i cinque giorni dall'insorgenza dei sintomi. I ricoveri sono stati decisi tutti in quei casi, mentre quando la somministrazione è avvenuta immediatamente il successo è stato del 100 per cento». La chiave è nelle indicazioni fornite alle aziende sanitarie dall'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco. Gli anticorpi monoclonali si possono somministrare anche dieci giorni dopo l'insorgenza dei sintomi o il contagio, ma l'efficacia in quel caso diminuisce. Mentre è massima entro cinque giorni dalla certezza dell'infezione. Ed è quello che è accaduto a Udine.
I PROBLEMI
Nelle prossime settimane, ha garantito il presidente regionale Fedriga, l'uso degli anticorpi monoclonali in regione migliorerà. Sarà reso più efficiente e capillare, mentre nei prossimi mesi aumenteranno anche le scorte. Resta ancora da risolvere un problema non di poco conto. È fondamentale, infatti, l'impegno sul territorio dei medici di medicina generale, a cui è stato trasmesso il protocollo operativo dai primari di Malattie infettive. Vista la scarsità di dosi, infatti, il farmaco deve essere destinato a una platea particolare di pazienti. Si tratta di persone molto fragili, che in caso di contagio rischiano un ricovero in ospedale in gravi condizioni. Quello che manca in questo momento è una ricerca sempre più capillare di questi pazienti potenzialmente a rischio sul territorio. E con i medici di base già impegnati nello screening e nella campagna vaccinale, non è facile garantire anche questo passaggio.
M.A.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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