«L'arbitro è terrone» Daspo all'allenatore

Mercoledì 20 Novembre 2019
IL CASO
PORDENONE Dopo aver contestato una decisione arbitrale, si è girato verso la panchina e allargando le braccia ha detto: «L'è un teron.... In panchina c'erano bambini di undici/dodici anni, Esordienti del Fontanafredda che il 9 novembre hanno sfidato la Sacilese allo stadio XXV Aprile di Sacile. Quella frase, che la Questura inserisce nell'alveo della discriminazione territoriale, ha contrariato alcuni genitori. Indignati per altre parole offensive, imprecazioni, insulti contro i baby calciatori e i continui pugni contro la tettoia della panchina, hanno deciso che non si potevano tollerare gli eccessi del mister e si sono sfogati. Per Flavio Giust il post partita è stato molto amaro: per un anno non potrà più seguire i suoi ragazzini e non potrà frequentare alcun impianto sportivo, proprio come accade ai tifosi violenti. L'Ufficio misure di prevenzione dell'Anticrimine gli ha notificato un Daspo che vale per i campionati giovanili, ma anche per la serie A, B o Lega Pro. Secondo il questore Marco Odorisio, il suo comportamento è diseducativo e potrebbe costituire un pericolo per la sicurezza dei bambini.
- Questore, come avete ricostruito la vicenda?
«Io guardo ogni mattina la rassegna stampa. Ho letto un articolo in cui i genitori stigmatizzavano la condotta di un allenatore che si esprimeva in modo disdicevole. Ho chiesto alla Digos di accertare che cos'era accaduto e sono stati rintracciati alcuni genitori che hanno assistito all'incontro, sono stati assunti a sommarie informazioni e abbiamo cristallizzato la situazione. Per tutta la durata della partita l'allenatore ha avuto una condotta verbalmente e materialmente violenta. Tutto è culminato con un'espressione di discriminazione territoriale. Ecco perchè il provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi: la legge 401/89 si applica a tutte le manifestazioni sportive e a tutte le categorie».
- I Daspo solitamente colpiscono il tifo violento. Con il suo provvedimento lei chiede al mondo del sport giovanile una riflessione?
«Credo che sia poco edificante per un allenatore, a cui vengono affidati dei bambini, comportarsi in questo modo. In quanto educatore dovrebbe essere portatore di valori positivi che vengono veicolati attraverso l'attività sportiva, come il rispetto delle regole, dell'avversario e del prossimo. Qui si è trattato di condotte diseducative indirizzate a undicenni che dovrebbero vedere nel loro allenatore un punto di riferimento e un portatore di valori. Nel caso di specie è tutto l'opposto».
- Le due società sportive coinvolte nella vicenda prendono le distanze dal Daspo. Che ne pensa?
«Talvolta dobbiamo intervenire e diventare educatori dello stesso educatore. Sono arrivati sulla pagina Facebook della Questura, soprattutto da mamme, commenti a favore del nostro intervento. Ho un figlio che a 5 anni ho portato al basket e a quell'età l'obiettivo primario deve essere il divertimento. La prima missione è questa. E assieme al gioco va insegnato il rispetto delle regole, così si comincia a inculcare l'insegnamento alla legalità attraverso il gioco. Spiegando che se sgambetti un avversario c'è una punizione o un'ammonizione. Bisogna dare messaggi educativi».
- Lei il mondo dello sport lo conosce molto bene. Mai prima d'ora è stato adottato un provvedimento così grave nei settori giovanili.
«Conosco l'ambiente calcistico. A Bari a 16 anni ho fatto anche l'arbitro federale, oltre che a praticare il calcio. So che cosa succede nei campi sportivi e non ci dobbiamo meravigliare se Balottelli lancia il pallone in curva o l'arbitro sospende la partita a Napoli. Il provvedimento l'ho adottato in serenità, sono un tecnico, i presupposti c'erano: un Daspo si adotta ogni volta che ci sono comportamenti che incitano, inneggiano o inducono alla violenza».
- Senza la collaborazione dei genitori questa vicenda non sarebbe mai emersa.
«Sarebbe rimasta sotto traccia».
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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