«Ho sconfitto il virus ma ho avuto paura»

Martedì 31 Marzo 2020
LA STORIA
SACILE Da medico (di base), ha una capacità superiore a quella di chiunque altro di ascoltare il proprio corpo. E di capire cosa sta provando a comunicare, interpretando ogni piccolo segnale che ai comuni sfuggirebbe. La sera del 6 marzo, quando stava aspettando l'esito del tampone che sarebbe arrivato di lì a minuti, sapeva già la risposta: positivo. Ma neanche un medico può conoscere un virus nuovo, bello tosto, non quell'influenza usata settimane fa per provare a descrivere il Coronavirus. Da professionista, il sacilese Francesco Rossetti, è stato costretto a studiarle da malato, le mosse del nemico. Oggi lo ha sconfitto: doppio tampone negativo, fuori dal labirinto. Ma il suo racconto testimonia cosa sia in grado di combinare a un organismo vivente il Coronavirus, anche senza il ricovero in ospedale. E la sintesi è in una frase: «Se ho avuto paura? Ne ho avuta tanta. Ci sono stati alcuni momenti in cui ho pensato che mi venissero a prendere per ricoverarmi e che non avrei più rivisto la mia famiglia».
Rossetti è già pronto a tornare a lavorare ed è il primo medico di medicina generale ad aver affrontato - e sconfitto - il Coronavirus in provincia di Pordenone. La sua storia è un monito e allo stesso tempo un manuale per tutti i malati, soprattutto per chi è costretto a trascorrere la degenza a casa e non sul letto di un reparto ospedaliero.
Dottor Rossetti, quali sono stati i sintomi che le hanno fatto capire di aver preso il Covid-19?
Ho avvertito febbre, prima a 37,5, poi di un grado superiore. Mi facevano male le ossa, ma la cosa che mi ha colpito di più è stata la perdita della capacità di distinguere gli odori e i sapori. Si tratta di sintomi descritti in molti studi riferiti al Coronavirus, ma provarli è un'altra cosa. Non riuscivo a capire cosa stavo mangiando, con particolare riferimento ai cibi freddi. Era tutto ovattato. Dicono che si tratti di una condizione reversibile, ma anche ora che sono guarito non ho recuperato ancora gusto e olfatto. Mi ha colpito anche l'alternanza dei sintomi: avvertivo mal di gola, poi si fermava, poi tornava. Si tratta di un virus imprevedibile. Ho avuto anche sintomi respiratori: ho usato il mio saturimetro e la saturazione dell'ossigeno era scesa.
E' in quel momento che ha avuto paura?
Ho pensato che mi servisse il ricovero. Ho 63 anni, non sono giovanissimo. Credevo di dover salutare, forse per sempre, le persone che mi stavano vicino. Si è trattato del momento più brutto di tutta la malattia, poi fortunatamente i sintomi peggiori sono passati e sono migliorato.
Ha ricostruito la storia del suo contagio?
Probabilmente si è trattato della visita a un paziente. Mi è dispiaciuto enormemente lasciare i miei assistiti, i tanti sacilesi che si sono dovuti affidare a un nuovo medico. Alcuni li ho anche spaventati, perché dopo essere stati a contatto con me sono finiti in isolamento. Adesso piano piano anche loro stanno uscendo gradualmente da questa situazione.
Ora come sta?
Sono negativo al doppio tampone, quindi clinicamente guarito. Ma non si può dire che mi sia totalmente ripreso. Sono convalescente, ma ho chiesto di poter tornare a lavorare già tra pochi giorni. I miei colleghi hanno bisogno di aiuto, non posso lasciarli soli e non voglio farlo. Sono pronto a ricominciare, il resto migliorerà gradualmente.
Lei ha vissuto la malattia in isolamento, come ha evitato contatti con la sua famiglia?
Ho praticamente vissuto solamente in una camera, diventata anche sala da pranzo. Mangiavo lì, vivevo lì, avevo un mio bagno dedicato. Le rare volte che ho visto la mia famiglia, ho sempre indossato la mascherina. Sono stato attento a tutto.
Dal momento che non si trovava in ospedale, com'è stata seguita l'evoluzione dei suoi sintomi?
Devo ringraziare l'ospedale di Pordenone e in particolare il Dipartimento di prevenzione. Mi hanno telefonato ogni giorno, hanno immagazzinato dati sulla mia malattia e hanno sempre controllato ogni tipo di evoluzione. Gli immunologi, nonostante il momento critico e il sovraccarico di lavoro a cui sono obbligati, sono stati sempre gentili. Per quanto riguarda lo studio della malattia, ora dobbiamo concentrarci anche sul percorso di guarigione completa, che non è ancora ben chiaro alla comunità scientifica in genere.
Marco Agrusti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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