«Hai una figlia piccola, niente lavoro»

Venerdì 24 Novembre 2017
«Hai una figlia piccola, niente lavoro»
IL CASO
TREVISO «Hai una figlia di tre anni? Per noi sei un problema». E viene esclusa dal colloquio di lavoro. In uno Stato in cui il welfare esiste solo sulla carta e la conciliazione è un passo culturale molto difficile da compiere, le donne che rientrano nel mondo professionale dopo la maternità hanno di fronte a sè un percorso in salita. Anche se hanno trascorso i primi trent'anni della propria vita a studiare, formarsi e vantano robuste esperienze lavorative.
Daniela Fullin ha 38 anni e la coerenza di chi conosce il proprio percorso. Nella situazione di Daniela sono molte donne. Lei, di diverso, ha il coraggio di ammettere che oggi l'Italia sul punto è molto distante dagli standard europei: «Sono un operatore socio-sanitario con 17 anni di esperienza. Sono stata responsabile delle attività assistenziali di una casa per anziani per nove anni e referente di nucleo per tre. Poi, a 35 anni, ho avuto una bambina. E sono iniziati i miei problemi lavorativi».
Da Belluno, infatti Daniela si è trasferita a Treviso con marito e figlia. Si è licenziata dalla cooperativa per cui lavorava, e dopo lo svezzamento ha iniziato ad organizzarsi per riprendere la sua attività: «La domanda nelle case di riposo non è certo in flessione - afferma -; io ho diverse specializzazioni e nessuna preclusione di orario».
Per prima cosa invia curriculum e candidatura ad una importante Onlus in città. Sostiene il colloquio che ha un avvio molto brillante. «Poi mi viene rivolta la fatidica domanda: ha figli? Non ero tenuta a rispondere, ma per chiarezza ho detto sì. Ho una bambina, ma mi sono già organizzata con una lista di dodici baby sitter. Da lì il tono della conversazione è cambiato. La responsabile ha iniziato a pormi di fronte molte difficoltà». Il turno di notte? Nessun problema, risponde Daniela. I corsi antincendio? «Ho già le certificazioni, quindi non sarei neppure stata un costo per l'azienda». Infine l'affiancamento gratuito: «Mi hanno prospettato una settimana di lavoro gratuita per affiancamento. Non mi pareva giusto, ma l'ho accettato». Poi un mese di stand by e infine la risposta: no grazie.
Daniela non si dà per vinta: invia il curriculum ad una società di selezione nel pordenonese e viene subito chiamata: «L'operatrice mi dice: il tuo profilo è di livello, per noi sei la prima della lista». Il lavoro è in una casa di riposo della provincia. Passano quattro giorni e non sente più nessuno. «Richiamo e parlo con la persona che mi aveva selezionata. Una donna molto in gamba, con cui si era stabilito un certo feeling. Le chiedo cosa fosse successo. Lei un po' tergiversa, poi mi dice la verità». Il direttore non voleva neppure farle il colloquio. Motivo? Ha una figlia. «Mi ha chiaramente detto che una bambina di 3 anni è un problema. E che ci potrebbe essere il rischio che io magari voglia un secondo figlio. Su questo posso tranquillizzare tutti. Non posso più avere figli. Ma questa cosa mi ha ammazzata».
Daniela sottolinea che il lato peggiore della vicenda non sia quello economico: «Per fortuna non ho bisogno di quel lavoro per sopravvivere. L'umiliazione è non riuscire a trovare lavoro perché donna con figli». Con l'amarezza aggiuntiva di non aver neppure potuto parare con il direttore della casa di riposo: «Un colloquio non si nega a nessuno. Se mi avesse parlato avrebbe forse capito che sono organizzata, responsabile, che non mi spaventano le notti nè la fatica. Amo il mio lavoro. Forse sarei stata la persona giusta per quel posto».
Elena Filini
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Ultimo aggiornamento: 12:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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